Carmine Pinto, ordinario di storia contemporanea nell’Università degli studi di Salerno, è Direttore dell’Istituto per la storia del Risorgimento. È autore di libri di successo, l’ultimo e’ ‘La guerra per il Mezzogiorno. Italiani, borbonici e briganti 1860-1870’. Studioso attento e scrupoloso, curioso.Lo abbiamo stuzzicato sul dibattito di queste ore sui partiti americani.
Perché, molti in Italia, fanno riferimento all’esperienza americana per organizzare i partiti?
I partiti americani sono i più longevi dell’Occidente. Sono stati sempre capaci di rinnovarsi e di adeguarsi alle sfide del tempo sin dalla metà del XIX secolo. Inoltre, e non è poco, sono sempre stati capaci di muoversi nel recinto di una grande democrazia liberale e capitalista, superando crisi drammatiche, come la guerra civile del 1861, oppure sfide epocali, come la guerra fredda
Quali sono le caratteristiche principali del patito repubblicano e democratico, soprattutto in riferimento alla organizzazione
I democratici privilegiano una struttura capillare e sociale, articolata, con una forte partecipazione dell’intellighenzia e del mondo del cinema e della cultura. I repubblicani, pur dotati di una certa organizzazione, hanno una militanza di base meno disponibile a forti esperienze operative, spesso invece legati a gruppi e associazione di tipo religioso o militare.
È un modello, con i dovuti accorgimenti, replicabile in Italia ?
Non credo che il modello sia replicabile, come tale, vale per qualsiasi altro modello. Penso semplicemente che valga lo schema generale. Due forze che competono su terreni di ogni tipo, dalla politica fiscale a quella internazionale, ma condividono l’impostazione liberale, democratica, capitalista e universalista della nazione americana, all’interno di una dialettica che ne ha fatto un modello per la democrazia globale