Di Charles Louis de Secondat, Barone di Montesquieu
Ho scritto, duecentocinquanta anni fa, che “nella maggior parte del regni d’Europa il governo è moderato perché chi detiene i primi due poteri lascia ai suoi sudditi l’esercizio del terzo”.
Chiaramente, il primo ed il secondo potere erano, rispettivamente, quello di fare le leggi e quello di dargli esecuzione, il terzo – quello che va, necessariamente, lasciato ai sudditi – è quello di risolvere le controversie.
È il potere giudiziario.
Ho fondato tutto il mio ragionamento, e la mia fortuna devo ammettere, sull’idea che i poteri pubblici dovessero essere separati e che ciò rappresentava l’unico modo per godere di un autentico “stato di diritto”. Meglio, uno Stato del diritto, nel quale è la legge – e solo la legge – a stabilire cosa è consentito e cosa non lo è.
Ci sto pensando tanto in questi giorni, quando si discute compulsivamente di riformare la giustizia, di conciliare diritti, di rivedere le regole che disciplinano il CSM, l’organo di autogoverno.
La ministra Cartabia, che mi ha studiato bene e approfonditamente, ha inteso superare – e di questo le sono grato – la giustizialista e liberticida riforma Bonafede.
Scritta da lui ma pensata dai suoi accoliti, Davigo in testa, secondo il quale non ci sono innocenti ma solo colpevoli fortunati.
Non serve a molto snocciolare dati e statistiche: veniamo puniti per i tempi, biblici, della giustizia; ho impiegato quindici anni per scrivere il mio capolavoro – Lo spirito delle leggi –, ce ne mette qualcuno meno ma sicuramente troppi la giustizia italiana per arrivare a sentenza definitiva; siamo stati puniti per ingiusta detenzione: siamo il Paese nel quale vi è il maggior numero di carcerati non condannati in via definitiva; siamo stati puniti per il sovraffollamento delle nostre carceri.
Vedete, paradossalmente la condizione del reo, volendo parlare tecnicamente, è la prima e principale cartina di tornasole per rappresentare il grado di civiltà di un Paese.
E allora, qual è il vero spirito della giustizia? La Costituzione ce lo dice chiaramente: il condannato va rieducato, non punito.
E va tutelato, da sé stesso e dagli altri.
Oggi va tutelato, in primo luogo, dal processo mediatico che dietro lo insegue; va tutelato dalle fughe di notizie, dalle intercettazioni raccontate a mezzo stampa e dagli audio bellamente trasmessi in ogni programma che si occupi della materia.
Una volta questi si sarebbero chiamati “diritti della difesa”. Oggi prevale il “metti il mostro in prima pagina”.
Duecentocinquanta anni fa, vi avvisavo su un punto: se è vero che, sostenevo, i Paesi non moderati erano, per natura, quelli extraeuropei – dispotici e antidemocratici –, è vero anche che l’Europa non può dirsi immune da certe regressioni, da certi indietreggiamenti.
Ciò che sta accadendo in Polonia ed in Ungheria deve farci ragionare.
Se amiamo la democrazia, dobbiamo prendercene cura. E, per farlo, dobbiamo assicurarci che sopra tutto vi sia la legge che, non essendo di nessuno, è di tutti.