di Donato D’Aiuto
C’erano una volta due uomini che, per comodità, chiameremo Tizio e Caio, nonostante non siano proprio nomi da favola.
Tizio faceva parte della schiera di quelli che “va abolita la prescrizione”, “se uno è indagato un motivo ci sarà”, “a che serve aspettare le sentenze?”.
Caio, invece, mestamente, provava a spiegare a Tizio che la ragionevole durata dei processi e la presunzione di innocenza non sono slogan ma principi cardine di uno Stato civile.
Ma Tizio non voleva saperne nulla, non voleva ascoltare Caio e continuava la sua battaglia ideologica e populista in qualsiasi salotto televisivo che gli concedesse una comoda poltroncina anche solo per una quindicina di minuti.
C’è una cosa che ancora non vi ho detto e che potrebbe far assumere a questa storia contorni paradossali degni di Zenone: Tizio di professione era Magistrato.
Sì, Magistrato. Che tanti anni prima aveva giurato di osservare lealmente le leggi dello Stato. E tra queste, quindi, anche l’art. 27 della nostra Costituzione: “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.
Forse, data l’età, Tizio se ne era dimenticato. Del giuramento e dell’art. 27 della Costituzione.
Poi, in un normale e comunissimo giorno del mese di luglio, accadde che Tizio finisse nel registro degli indagati della Procura di Brescia con l’accusa di rivelazione di segreto d’ufficio.
Caos.
Quindi Tizio e i suoi seguaci cosa penseranno adesso? Continueranno a pensare che non serve aspettare le sentenze e che è sufficiente qualche ritaglio di giornale per una condanna definitiva? Oppure cambieranno idea con giravolte e piroette degne della compianta Carla Fracci?
I teatri di tutta Italia si stanno già attrezzando.
Ciò che, invece, è certo è che Caio ed i suoi sostenitori non imbracceranno i forconi riempiendo le piazze per chiedere la testa di Davigo, pardon Caio, per metterlo alla gogna; non riempiranno i salotti televisivi dicendogli “ben gli sta”; non esulteranno stappando bottiglie sui balconi.
Caio e tutti coloro che la pensano come lui, rimarranno sempre convinti che la legge è uguale per tutti. Ma tutti tutti.
E a Davigo augurano soltanto un processo giusto che si svolga in tempi celeri. Così come deve essere per tutti.
Chissà a parti invertite cosa sarebbe successo. Non oso immaginarlo.