di Eva Longo*
Fu Esopo, scrittore nell’antica Grecia, ad inventare la narrazione delle favole affinché da queste si potesse trarre una morale. Sono stati milioni gli studenti che le hanno tradotte dal greco e dal latino nel tempo in cui a scuola si istruiva e si educava. Una scuola non avvilita da diverse e promiscue missioni che con l’istruzione hanno poco o niente in comune. Le favole erano un modo semplice di insegnare precetti di vita attraverso brevi storie fantastiche in cui spesso erano protagonisti gli animali. Famose quelle del lupo e dell’agnello, della volpe e dell’uva, della pulce e del leone. Nella prima si insegna come il più forte, il lupo, si inventi un buon motivo per prevaricare sul più debole. Nella seconda di come si possa falsamente disprezzare (la volpe) quello che non si riesce ad ottenere (l’uva). Nella terza di come taluni piccoli e presuntuosi, possano credere di poter infastidire e vincere i più potenti. Insomma, allegorie che ci insegnano precetti morali che devono accompagnarci nel corso della nostra esistenza di onesti cittadini. Quest’ultima favola è venuta alla mente allorquando ho avuto modo di ascoltare un intervento televisivo di Giuseppe Conte, ex presidente del Consiglio. Un uomo che passerà alla storia politica come colui che ebbe la sfrontatezza di presiedere due governi di colore politico diametralmente opposti, invocando un patto di programma per evitare lo scioglimento del Parlamento, mettendo insieme compagini che, fino a quel momento, si erano pesantemente denigrate. Esempio lampante, dunque, di trasformismo e di opportunismo. Il primo governo, quello gialloverde, era composto da Lega e M5S, il secondo quello giallorosso, era costituito da Pd, Leu, Iv e 5Stelle. Forze, come si vede, di segno politico diametralmente contrario e che, in campagna elettorale, si erano letteralmente scannate. Nel corso di questo spregiudicato equilibrismo, il premier ebbe a definirsi l’avvocato del popolo, per evidenziare che era stato preso dal mondo della professione forense. Quindi espressione della cosiddetta “società civile”. Quest’ultima viene tirata in ballo quando la politica non ha la possibilità di trovare un’intesa ed individuare un’indicazione condivisa tra le parti in causa. Pietro Trapassi, in arte Metastasio, avrebbe ribadito che la società civile è paragonabile alla fede degli amanti, “come l’Araba Fenice che ci sia ciascun lo dice, ove sia nessun lo sa”. Tuttavia, in nome della scelta tecnica, si trova sempre una persona disponibile per un alto incarico governativo. Quasi sempre però i tecnici si affezionano alla poltrona ed esaurito il loro mandato politico finiscono per fondare un partito in grado di tesaurizzare e sfruttare la popolarità e la gestione del potere conseguenti all’esercizio del potere. Così è stato per altri tecnici come Lamberto Dini e Mario Monti nel mentre Carlo Azeglio Ciampi si sistemò sulla poltrona di Capo dello Stato. In sintesi svanisce la patina di neutralità tecnica ed affiora quella più ambiziosa di dare corso ad un movimento politico legato al proprio nome, come ormai costumanza nel Belpaese. L’Avvocato del Popolo ha fatto ancora di meglio: un partito se l’è acquistato bello e confezionato dopo aver eroso al M5S gran parte dei gruppi parlamentari. In verità ha dovuto vincere la resistenza dei pentastellati duri e puri che, insieme al duo Grillo & Casaleggio, si opponevano a trasformare il movimentismo e l’assemblearismo permanente del Movimento in un partito politico tradizionale, con tanto di statuto. Ovviamente Conte deve fare i conti con questa area interna e con il riferimento elettorale che essa rappresenta. Questa condizione lo spinge ad assumere posizioni oltranziste al riguardo di talune tematiche quali quella della giustizia, dei redditi di cittadinanza, del sostegno alle tesi oltranziste sugli omosessuali (leggi decreto Zan). Insomma l’Avvocato del popolo tira fuori le unghie per compiacere il fatidico zoccolo duro grillino. Infatti sulla giustizia ha rispolverato le posizioni meno garantiste abbeverando il proprio dire al moralismo più becero, quello che pretende di essere sempre e comunque dalla parte dei pubblici ministeri e più in generale, in politica, in ginocchio innanzi alle toghe. In queste ore le agenzie si stampa ci informano che l’Avvocatura dello Stato ha citato l’ex pm Luca Palamara per danno erariale pari a due milioni di euro perché il libro “Il Sistema” avrebbe procurato un danno di immagine alla magistratura ed alla Nazione. Insomma uno Stato inefficiente che esige d’essere rispettato e risarcito anche quando tollera che un proprio ordine, la Magistratura, si trasformi in un’opaca conventicola politica, restando immune dai propri errori ed esente da colpe. Se risulterà vero che Conte abbia fatto parte della Loggia di Piazza Ungheria, quel “circolo” che aggiustava ed indirizzava i processi, si capirebbero anche i ruggiti di oggi. Ma sono i ruggiti di una pulce che pascola nella criniera del leone.
*riflessione social dell’ex sindaco di Pellezzano, ex consigliere regionale e Senatore della Repubblica