di John Stuart Mill
È possibile rendere il mondo più giusto e più equo ripartendo dalla cultura? Io dico di sì e, soprattutto, lo dico da tempo. Precisamente dal 1848, anno in cui pubblicai il primo, vero, grande manuale economico della storia, i Principi di Economia Politica.
Scrissi un manuale e non un saggio – come aveva fatto, ad esempio, l’amico Adam Smith un secolo prima – perché volevo raccontare e descrivere prospettive, pareri, tesi contrapposte e alternative, volevo sintetizzare tutto ciò che la teoria economia aveva concepito e non limitarmi a sostenere una ennesima idea, la mia.
Su un tema, però, mi sono esposto personalmente e sono stato categorico: alla base della disparità economica vi è la disparità di accesso all’educazione, come la definii io all’epoca e che oggi chiamereste istruzione, formazione, cultura.
È, questo, un ragionamento essenziale in un Paese, l’Italia, ed in un mondo, quello occidentale, nel quale si è fermato il cosiddetto ascensore sociale. Se ieri si trattava di imporre un robusto sistema di istruzione obbligatoria, oggi occorre insistere sulle competenze di base, indispensabili, sull’acquisizione di spirito critico, che consente di venir fuori anche dalle situazioni più complesse, e sulla formazione continua, sull’aggiornamento per valorizzare le qualità di tutti e porle al passo coi tempi.
Mi sono schierato contro la Poor Law, la Legge sui Poveri dell’epoca – una sorta di antesignano del Reddito di Cittadinanza – proprio perché credevo, e continuo a credere, che gli indigenti vadano aiutati con i mezzi e non con i fini, con la formazione e non con l’assistenzialismo.
Come si dice, regala un pesce ad un uomo e l’avrai nutrito per un giorno, insegnagli a pescare e lo avrai nutrito per la vita.
Ne L’asservimento delle donne ho cercato di chiarire lo stesso punto da un’altra prospettiva: le donne avrebbero dovuto pretendere l’emancipazione per concorrere ad innalzare il livello di consapevolezza e di civiltà delle società alle quale appartenevano. Un po’ come l’alta marea che, col suo moto, porta tutti a vivere un “gradino” più in alto.
Eppure ci sono Paesi come l’Italia che spendono di pensioni quattro volte e mezzo ciò che spendono in istruzione; che hanno il numero più basso di laureati nel continente; che raggiungono valori bassissimi negli indici INVALSI; che hanno sacche enormi di analfabetismo funzionale e di ritorno.
Così non va.
Il PNRR è una grandissima occasione per mettere mano a tutto il settore, in maniera strategica – dagli asili nido ai dottorati, fino alla formazione lavorativa – perché è essenziale che la mano destra sappia cosa sta facendo la sinistra.
Se, da liberale, credo che non si possa e non si debba incidere sui “punti di arrivo”, sarà l’istruzione a livellare il campo e di far partire tutti dallo stesso punto, permettendogli di affermarsi solo sulla base dei propri meriti, dei propri sforzi.
Solo un Paese con un capitale umano di alta qualità potrà affrontare alla pari la competitiva sfida che la globalizzazione ci pone.