di Antonio Marco Del Cogliano
«Il caos è un bene perché cambia continuamente le cose. Le rende imprevedibili, e per questo meno banali. Non è semplice avere a che fare con l’originalità del caos, ma il cambiamento è necessario alla vita.»
E’, questa, solo una delle massime “sapienziali” contenute in Perché gli alberi perdono le foglie di Samantha Bevoni, un racconto lungo (o romanzo breve, che dir si voglia) che evolve in dialogo intimistico fra una giovane donna in procinto di schiudersi alla vita ed un vecchio, saggio albero, che di vite ne ha viste passare in gran numero.
In questo volume dell’eclettica scrittrice regna sovrana un’ucronia capace di far navigare il lettore come attraverso un mare di soffice nebbia; una indeterminatezza sconfinata, impalpabile, evanescente, pure al contempo confortante ed accogliente, che nelle parole del saggio albero sublima in serenità.
Quantunque non si tratti di poesie (come invece “Polymeri”, suo primo lavoro), la brevità, l’essenzialità dei periodi scelti e intagliati fra i possibili, rimanda ad un quid poetico, musicale, ad un’eco di gesta redivive nell’abbraccio amorevole dei reciproci pensieri, maieuticamente distillati, ed al tempo stesso corroborati dalla cornice naturalistica.
Una “fiaba” che somiglia ad un vademecum condivisibile – dunque, universale – in cui ognuno trova non “la” via – stereotipata e riproducibile – bensì una propria personalissima ed intima risposta alla domanda del titolo; un sentiero ch’è suscettibile di mutamento, come mutano le stagioni, i colori delle foglie, il loro essere virenti o caduche.
Perché c’è «un intero cielo da guardare oltre la chioma di un albero.»
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