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17 Novembre 2024

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“Voglio aiutare gli altri a guarire dai disturbi alimentari”. La storia di Eleonoire Ninivaggi

Di Anna Adamo

Eleonoire ha 20 anni e vive a Milano.Sogna di lavorare in ambito medico, ma prima deve terminare il liceo, perché a causa di vari ricoveri dovuti all’ anoressia e alla bulimia, disturbi alimentari da cui è affetta da quando aveva circa 11 anni, ha perso due anni di scuola. 

La storia di questa ragazza è un chiaro esempio del fatto che i disturbi alimentari non siano un capriccio come erroneamente si pensa, ma una vera e propria malattia capace di strapparti alla vita con il trascorrere del tempo. 

Eleonoire, però, non ha lasciato che la malattia le portasse completamente via la sua vita. Ha lottato con tutte le sue forze, ha reagito, ed ora è una di quelle persone che ce la stanno facendo. Una di quelle persone pronte ad aiutare gli altri a guarire dai disturbi alimentari.

L’ abbiamo intervistata per conoscerla meglio.

Quando e per quali motivi ti sei ammalata di disturbi alimentari?

Iniziò tutto quando avevo circa undici anni. Pensai di dovermi mettere a dieta, perché ritenevo non andassi bene così come ero. Quando mi guardavo allo specchio, mi vedevo grossa. Mai, però, mi sarei aspettata di ammalarmi di disturbi alimentaricome l’ anoressia e la bulimia.

Che differenza c’è tra anoressia e bulimia?Come ci si accorge di essere affetti da entrambi i disturbi?

Io ho sofferto più di anoressia che di bulimia. La differenza sostanziale tra le due è che quando ci si ammala di anoressia si rifiuta il cibo, si perde tanto peso, si inizia a soffrire di dismorfofobia e il proprio corpo sembra essere molto più grosso di quanto in realtà sia. Si ha paura di uscire, di essere guardati. Si vive in gabbia, con schemi mentali, perché si vogliono conoscere le calorie contenute in ogni cibo, prima di andare a mangiare al ristorante si guarda il menù per essere sicuri di poter prendere la cosa meno calorica possibile.

Anche quando si soffre di bulimia ci si odia, non ci si vede bene nel proprio corpo, ma la differenza tra le due malattie è data dal fatto che in questo caso si utilizza il cibo per colmare il vuoto lasciato dall’ essersi privati di alcuni alimenti per molto tempo. Il cibo diventa un sostitutivo alla vita. Ad esempio, io andavo a scuola e mentre ero in classe pensavo costantemente ai cibi che avrei dovuto comprare quando uscivo. Quando si è bulimici si mangia fino a stare male fisicamente e psicologicamente e poi si cerca di smaltire il cibo ingerito o facendo palestra o vomitando.

Quando hai capito di aver bisogno di aiuto? 

Da sola non l’ho mai capito. Quando ero alle scuole medie le mie professoresse avevano capito che qualcosa non andasse, ne parlarono con mia madre, ma quest’ultima non diede molta importanza alla cosa, perché credeva fosse solo un momento che sarebbe passato nel giro di poco tempo. Inizialmente non volevo si sapesse che fossi malata, infatti lo sapevano poche persone, durante gli anni del liceo, però, il disturbo si è involontariamente manifestato attraverso attacchi di ansia, panico e episodi di autolesionismo. Tutti, quindi ne sono venuti a conoscenza e hanno iniziato ad aiutarmi.

Perché, spesso chi soffre di disturbi alimentari diventa autolesionista?

Io oltre ad essere affetta da disturbi alimentari ero anche affetta da dissociazione, la mia mente ed il mio corpo era come se fossero separate. Non riuscivo a capire che quello che pensavo si ripercuotesse sul mio corpo, perciò iniziai ad avvertire il bisogno di sentire il mio corpo da un punto di vista fisico. E quale modo migliore del dolore esiste per sentirlo? Il dolore era l’ unico modo attraverso il quale riuscivo a sentire il mio corpo e per a far capire a chi mi stava intorno quanto stessi soffrendo, quando stessi male. Il disturbo alimentare si può, in qualche modo, nascondere, l’ autolesionismo no, perché i tagli sulle braccia si vedono e non è possibile nasconderli per sempre.

Come ritieni che debbano comportarsi familiari e amici di persone affette da disturbi alimentari e autolesionismo?

È necessario che al minimo segnale i familiari inizino a preoccuparsi di quello che sta accadendo e non sottovalutino il tutto credendo erroneamente che i disturbi alimentari e l’ autolesionismo siano un capriccio passeggero, perché non lo sono assolutamente. Fondamentale, inoltre, è non giudicare la persona affetta da determinati disturbi, ma farli sentire supportati, perché anche quando sembra che non abbiano bisogno di nessuno, in realtà sono più vulnerabili che mai. In questo frangente neanche gli amici hanno un ruolo semplice, perché si ritrovano davanti una persona che prima usciva, partecipava a feste ed eventi senza pensarci due volte, mentre ora tende ad isolarsi e non uscire di casa, quindi non devono lasciarla sola e soprattutto devono farle capire di potersi sempre fidare di loro.

Inizialmente non volevi si sapesse della tua malattia, poi hai iniziato a parlarne sui social. Perché?

Ho iniziato a parlarne sui social nel momento in cui sono riuscita a chiedere aiuto, mi sono resa conto che combattere contro i disabili alimentari sia possibile e ho capito di poter dare speranza a chiunque crede che non ci si possa mai liberare da questi ultimi.

Ritieni sia possibile guarire completamente da un disturbo alimentare?

Credo nella guarigione. Non credo, però, nella guarigione completa. Ritengo che una persona possa ritornare a stare benissimo, ad accettare il proprio corpo, la propria alimentazione, ma il disturbo alimentare resterà sempre il nostro tallone d’Achille, quel qualcosa che di tanto in tanto ritorna a punzecchiare. Sarà poi compito nostro, sulla base delle cure ricevute e su ciò che abbiamo imparato nel tempo, riuscire a gestire il tutto e a far si che non si ripercuota negativamente sulla nostra vita.

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