L’impertinente ha sentito Francesco Patamia, imprenditore di successo, oggi leader del Partito Liberale Europeo
Il Partito Liberale Europeo. Custodi di una tradizione antica e sempre moderna. Come nasce l’idea?
L’amore per la libertà e l’istinto di schierarsi a sua difesa, in economia come nel tentativo di immaginare una società più desiderabile, sono tratti propri dell’uomo moderno. O meglio, sono caratteristiche dell’individuo che lotta per essere padrone del suo destino. Il pensiero liberale nasce insieme ad altre tradizioni politico culturali, ma è l’unico che la storia non ha mai messo seriamente in discussione. Più che delle origini, mi piace pensare allo sviluppo della cultura liberale e alla sua attualità, alla necessità di essere ancora liberali in un mondo che sarà molto diverso dal precedente. Rischi sanitari, guerre cibernetiche, migrazioni epocali. In uno scenario come questo sarà sempre necessario difendere la libertà degli individui e dei sistemi sociali, anzi lo sarà ancor più di prima.
Il termine liberale, come quello riformista, è fra i più abusati. A suo giudizio perché?
Forse proprio a causa dei fallimenti a cui mi riferivo prima. Nel Novecento altre tradizioni politico culturali hanno prodotto dittature e conflitti. Con la fine della Guerra fredda invece di riconoscere la vittoria storica del pensiero liberale, qui da noi, gli eredi delle culture sconfitte hanno fatto a gara nell’autoproclamarsi liberali per rendersi di nuovo presentabili all’opinione pubblica e all’elettorato. Tutti liberali, nessun liberale. Un contenitore politico serio e strutturato oggi invece può contribuire a fare chiarezza. Noi vogliamo dare una casa politica ai liberali veri, non agli opportunisti.
Il Ple e l’attuale panorama politico. Autonomi dalle coalizioni o più vicini al centrodestra?
Siamo un soggetto giovanissimo, in pochi mesi di vita però abbiamo avuto modo di mettere alla prova le nostre affinità. In tutte le grandi città abbiamo riscontrato enorme attenzione e interesse da interlocutori politici di una parte, meno dall’altra. La nostra collocazione nelle coalizioni di centrodestra a Roma, Milano e Napoli è stata dunque naturale. Ma rimaniamo quello che si direbbe un partito di centro. Su altri territori, è il caso di Latina, questo ci ha consentito di essere la prima formazione politica nazionale a schierarsi accanto ad una candidata civica. Lì come in altre città più piccole è possibile sperimentare formule politiche diverse e anche costringere gli altri partiti ad una dialettica più serrata, grazie anche alla nostra presenza che di va rafforzando a livello territoriale.
Sarete dunque presenti alle amministrative?
Certo, non solo nelle città già ricordate, ma anche a Salerno e nei tanti comuni della Liguria o del Friuli Venezia Giulia dove siamo già solidamente strutturati. È il nostro primo banco di prova, ma sono molto fiducioso ed entusiasta del riscontro che stiamo avendo in tutta Italia.
Quali, oggi, i punti fondamentali di una rivoluzione liberale?
Giustizia giusta, lotta feroce alla burocrazia, sostegno alla libera impresa, anche grazie alla straordinaria mole di risorse che sta iniziando ad arrivare dall’Europa per merito del governo Draghi, mi lasci dire decisamente più capace e concreto del suo predecessore. Ci tengo a sottolineare come la lotta per una giustizia giusta ci veda protagonisti in questi giorni nella raccolta di firme per i sei referendum proposti dal Partito Radicale e dalla Lega. Siamo stati i primi ad entrare a far parte del Comitato promotore dell’iniziativa referendaria, dopo l’incontro con il segretario del Partito radicale Maurizio Turco e la tesoriera Irene Testa, proprio perché un sistema giudiziario efficiente e non politicizzato è la prima condizione per consentire lo sviluppo di una libera attività di impresa e una garanzia di diritto per tutti i cittadini. È una nostra battaglia identitaria, il primo passo verso la rivoluzione liberale.