Di Anna Adamo
Il successo dei Knife 49 ha origine negli anni 90 e non si è mai fermato, se non per un breve periodo, infatti costituiscono la storia del punk italiano.
La band, rinata per volere del suo fondatore Franco “Il Presidente” Gatto – ex Dogo Gang- e Luca “Doobie” Adami, rispettivamente voce e basso elettrico e chitarra elettrica e cori, consolidatisi successivamente con la presenza di Davy alla batteria e Christian alla chitarra elettrica e cori, ha mantenuto negli anni una forte identità musicale. Sound granitico, liriche crude e dirette sono le caratteristiche del gruppo e dei suoi primi quattro album.
Ascoltare un loro LP significa specchiarsi nella realtà di strada.
Quando si fa riferimento ai Knife 49, non si può, però, non fare riferimento al concetto di resilienza, che incarnano perfettamente.
Dopo il boom degli anni 90, infatti, subiscono una battuta d’arresto per poi riemergere nel 2006 con il videoclip de “La Luna”, il quale vede la partecipazione di Marracash su un pezzo che fonde street punk, rap e hip hop e li sancisce come emblema delle punk band italiane.
La band street punk è stata ultimamente impegnata nella realizzazione del quinto album che vedrà luce nei prossimi mesi ed ha preso parte al “Malafest”, il festival dedicato alla musica rock, punk e metal organizzato da Mala Musica.
Quello dei Knife 49 è un successo che ha permesso loro di valicare i confini nazionali ed esibirsi in tutto il mondo, fino ad arrivare graffianti, incisivi e fuori dagli schemi come sono sempre stati, ad essere in gara alla trentaquattresima edizione di Sanremo Rock, portando così lo streetpunk sul palco dell’ Ariston, il più importante palco della Musica Italiana.
Ascoltando le vostre canzoni ci si immerge nella realtà di strada. Cosa è per voi la strada e cosa significa fare musica partendo proprio da quest’ultima?
La strada è una realtà che si vive ogni giorno. Un qualcosa senza favoreggiamenti. Fare musica partendo dalla strada significa raccontare le cose così come sono. Significa raccontare senza filtri ciò che si vive in prima persona.
Come band siete nati in un epoca in cui non esistevano i social network e i talent show. Cosa pensate di chi inizia a farsi strada nel mondo della musica grazie ai social e ai talent?
I social network e i talent show, purtroppo, hanno dato vita ad emergenti che non si avvicinano neanche minimamente a quello che realmente è il mondo della musica. Sono dei semplici prodotti “fabbricati ad hoc”, ma non hanno iniziativa. Durano giusto una stagione o due, durante la quale guadagnano più di quanto dovrebbero e lanciano messaggi che non hanno alcun senso.
Cosa è cambiato nel mondo della musica punk dagli anni 90 fino ad oggi?
Sono cambiate le tematiche trattate. Inizialmente la musica punk aveva una connotazione politica, era a favore degli schieramenti politici. Attualmente questo genere di musica ha preso un po’ le distanze dal mondo politico e tratta di temi più urbani. La nostra band è contro la politica e lo diciamo in molte canzoni.
La vostra notorietà, dopo il boom degli anni 90, è riemersa nel 2006 grazie al videoclip del brano “La Luna” che vede la collaborazione di Marrachesh. Di cosa tratta la canzone e cosa avete voluto comunicare attraverso quest’ultima?
La canzone tratta di una realtà che riguarda molte città. Vi è un uomo che, uscito dal carcere, cerca gli amici e inizia a fare serata, fino al mattino. Quegli anni erano così: si usciva e si stava via fino al mattino, magari senza volerlo. Tramite la canzone si vuole raccontare questo tipo di realtà urbana che riguarda le città europee e non solo.
Nel momento in cui la vostra notorietà ha subito una battuta d’arresto, avete mai pensato di mollare tutto e dedicarvi ad altro?
I momenti di sconforto ci sono stati, ma poi abbiamo capito che ci saremmo dovuti rimettere in carreggiata. Se ogni volta che si cade si finisce per mollare, tutto diventa inutile. Non bisogna mollare mai. Cadere è normale, ma bisogna sempre trovare la forza di rialzarsi e guardare avanti.
Siete in gara alla trentaquattresima edizione di Sanremo Rock. Cosa significa per voi portare la musica punk sul palco dell’Ariston?
Il palco dell’Ariston rappresenta una meta importantissima per il punk italiano.
Noi siamo in assoluto la prima band senza etichette, case discografiche e promozioni particolari a calcare quel palco. Conquistarsi uno spazio in un panorama musicale così difficile, rappresenta un traguardo importante. Pur sapendo che probabilmente non vinceremo il festival, consideriamo già una vittoria l’ essere arrivati fino a qui.
Qual è il messaggio che volete lanciare attraverso “Mosca Bianca”, il brano che porterete sul palco dell’Ariston?
“Mosca Bianca” è un brano dedicato a tutte le persone che non ci sono più.
Quando qualcuno va via, ci manca, ma bisogna continuare a vivere nonostante questa mancanza, perché la vita continua.
Questa canzone tratta proprio della capacità di continuare a vivere nonostante alcune persone che facevano parte della nostra vita non ci siano più.
Ci permette di capire che vivere sia possibile anche dopo che loro sono andate via. Questo non vuol dire che smettano di mancarci. Ci mancheranno sempre, ma prima o poi ci si abitua ad andare avanti convivendo con la loro assenza.