Di Jurgen Habermas
Le parole – si dice spesso – sanno essere come pietre: dure, acuminate, dolorose. Ma le parole sono anche un grande strumento di libertà, perché – come diceva Aldo Moro – “la verità è sempre illuminante, ci aiuta a essere coraggiosi”.
Aveva ragione: il sincero non deve mai preoccuparsi di ricordare cosa abbia detto.
Viviamo, io credo, in un’epoca che ha dimenticato l’onestà intellettuale; peggio, ha abiurato totalmente all’idea che l’onestà intellettuale possa essere un valore, fondante come è stato per molto tempo, della nostra vita in comune.
Quando ciò accade in democrazia, siamo dinanzi ad un problema non di poco conto.
Arzigogoli linguistici, metafore ardite, arrampicamenti sugli specchi, giochi di parole, smentite e false conferme: alzi la mano chi dice la verità, alzi la mano chi è sincero.
In una politica come questa, dire la verità è un atto rivoluzionario. Ed io ho fondato un’intera carriera da stimato filosofo su questo concetto, tanto da teorizzare l’Etica del discorso.
Vera democrazia è quando due persone si confrontano – utilizzano la parola, logos, che è anche ragione – sulla base di discorsi razionali, fornendo dati a suffragio delle proprie idee, e hanno l’onestà intellettuale – proprio perché l’obiettivo è raggiungere uno scopo, non mantenere la propria posizione – di giungere ad un compromesso o di ritenere una delle due tesi come la migliore a seguito del confronto. Insomma, di chiarirsi le idee.
Schematismi a parte, oggi nessuno segue questo metodo, perché l’agone politico ha perso coraggio, il coraggio di dire le cose come stanno, di rendere il discorso politico definitivo, inconfutabile, oggettivo.
E, invece, così dovrebbe essere perché se perdiamo il valore dell’oggettività – che è assolutamente compatibile con la libertà democratica – perdiamo il vero senso della libertà democratica, che si differenzia dall’anarchia proprio perché ha dei limiti.
Dire che due più due faccia quattro non è il frutto di un lavaggio del cervello ordito per traviare menti giovani e incontaminate. È la verità.
Ripetetelo con me: è la verità.
E di verità di questo tipo ce n’è sempre una e una soltanto.
Cosa voglio dire? Sto filosofeggiando, lo so ma cercherò di essere pratico.
Rimettiamo, tutti, la verità al centro: quanti sono i migranti sbarcati in Italia negli ultimi anni? Tanti? Pochi? Quanti sono in relazione agli arrivi negli altri Paesi?
Quanto vale l’evasione fiscale in Italia? Quanto ci è costata quota 100 e quanto utile è stata, dati alla mano? Quanto ci è costato il Reddito di Cittadinanza e quanto utile è stato, dati alla mano?
Quanto efficace è stata l’amministrazione di quel Sindaco, indipendentemente dal fatto che appartenesse al nostro schieramento o all’altro?
Perché, io leader politico, ho deciso di seguire una determinata strategia? Perché ho deciso di allearmi con tizio e non con caio?
Tutte domande rispetto alle quali i cittadini dovrebbero pretendere delle risposte e poi, coerentemente al modello che ho teorizzato, dirsi d’accordo o meno, spiegando su che basi lo sono o su che basi non lo sono.
La politica deve, soprattutto in momenti di crisi, essere scientifica, asettica; non possiamo farci influenzare dal tifo e dalla partigianeria.
E se nessuno ascoltasse i “vaneggiamenti” del sincero? Poco male, le parole pronunciate restano e, presto o tardi, finiscono per pesare come pietre.