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19 Dicembre 2024

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Il male della banalità

Di Hannah Arendt

Quando, ormai cinquant’anni fa e più, scrissi La banalità del malenon venni capita – d’altronde, quand’è che sono stata capita io? – e mi si riversarono addosso improperi e offese.

“Come può” – questo si diceva – “un’ebrea definire tutto ciò che è avvenuto una banalità?”.

Come potevo, io, che prima di essere ebrea era una filosofa, una corrispondente, un’analista dimenticare il mio ruolo e ragionare con la pancia anziché col cervello?

Non sono stata capita e, come vi dicevo, questa è una costante.

Oggi il tema che vorrei affrontare con voi è, però, parzialmente diverso: il vero problema non è dato più da quanto banale, inconsapevole, negletto sia il male ma di quanto male vi sia dietro la banalità, la superficialità, l’approssimazione con la quale tanti e delicati temi vengono trattati.

C’è una certa colpevole banalità nel dire che – ciascuno per le rispettive posizioni – i “porti sono aperti” o “i porti sono chiusi”. Se non ci fosse tanta banalità si chiarirebbe che i porti non sono né aperti, né chiusi e che, come in tutte le cose, serve ordine e disciplina.

C’è una certa crudele banalità nel dire di voler abbassare le tasse a tutti, di voler efficientare i servizi, di voler aumentare le pensioni minime, di voler concedere un reddito a tutti. 

Un insieme di banalità alle quali in tanti, forse troppi, credono e che poi pretendono. Non vengono accontentati e allora la classe dirigente è incapace, promette e non mantiene.

Cosa che è vera ma anche voi, elettori, santo cielo un minimo di calcolo no? Se avete tre euro in tasca potete mai comprare una villa al mare? Direi di no. 

Mentre vi scrivo queste parole sto fumando l’ennesima sigaretta della mia giornata. Essenzialmente, perché mi innervosite come mi innervosiscono tutti i creduloni. 

Ho impiegato una vita a studiare, analizzare, approfondire e per cosa credete che l’abbia fatto? Perché avevo tempo da perdere? No, perché volevo capire, volevo arrivare anche lì dove era per me ostico. Avevo fame e sete di curiosità, di sapere.

Sì, so cosa state pensando: se avesse avuto twitter o qualche altra fantasmagorica app di questo tipo, Hannah Arendt non avrebbe perso tanto tempo sui libri, non si sarebbe fatta tanti problemi, non avrebbe fumato troppo e non sarebbe morta, da scema, giovane.

Lo so, ma non è così. 

Perché io, a differenza vostra, me ne infischiavo della conoscenza effimera, di quella che, come neve al sole, si scioglie al primo sole o, se preferite, alla prima obiezione. 

La banalità vi farà dire che, in fondo, non cambierà mai nulla; che i politici sono tutti ladri e corrotti, che l’Europa è una matrigna, che gli immigrati sono pericolosi e rubano il lavoro; che a sbagliare sono sempre gli altri.

La banalità è lo strumento attraverso il quale voi, cittadini del mondo, vi deresponsabilizzate. Non avete colpe, responsabilità, siete soggetti passivi tranne quando, rumorosamente, rivendicate i vostri diritti, sempre di più e sempre più ambiziosi.

E fate bene: da liberale vi dico che fate bene. 

Ma, da liberale, vi dico anche che non dovete dimenticare i doveri, perché questi due elementi o si tengono insieme o non si tengono. Sono come i due piatti della medesima bilancia.

Cosa vi serve? Coraggio. 

Il covid ci ha insegnato – vi ha insegnato – che la vita è davvero una fumata di sigaretta.

Perciò state zitti, fatemi fumare e migliorate le vostre vite.

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