Di Massimo Ricciuti
Uscito per la prima volta due anni fa, è stato ripubblicato il libro di Richard Sennett “Costruire e Abitare”. Il testo si inserisce in una direzione che comprende tutto un filone anti-neocurbu che vede nell’opera di Jane Jacobs(che abbiamo ricordato proprio su queste pagine) la prima vera pioniera. Le parole di Sennett sono ben chiare sin dalla quarta di copertina. “Fin dall’antichità esiste una tensione tra il modo in cui le città sono costruite e quello in cui le persone le abitano”. L’autore denuncia la diffusione globale della “città chiusa” – segregata, irreggimentata e sottoposta a un controllo antidemocratico- che dal Nord del mondo ha conquistato il Sud del mondo e i suoi agglomerati in continua espansione (si legge in “quarta”). E continua “esiste un altro modo di costruire e abitare le città. Nella ‘cittaaperta’ i cittadini mettono in gioco attivamente le proprie differenze e creano un’interazione virtuosa con le forme urbane. Per costruire e abitare queste città, occorre praticare un certo tipo di modestia. Vivere uno tra molti, coinvolti in un mondo che non rispecchia soltanto se stessi. Questa è la Citta Aperta”.
Sennett affronta di petto un cambio di prospettiva nell’ottica di un progetto di cittadinanza in cui gli attori devono essere i soggetti che abitano la città. Gli echi di Jacobs si avvertono tutti. Sono da monito per tutti. Il discorso ci mette con le spalle al muro. Per essere libero nella tua città devi darti da fare a viverla. Chissà quanti, in questa campagna elettorale, conoscono questa lezione. A un certo punto, nel testo, Sennett cita proprio lei, Jane Jacobs. E lo fa descrivendo i complessi degli uffici della Google a NewYork situati sopra le strade del GreenwichVillage di cui lei ha molto scritto in “Vita e Morte delle Grandi Città”. Non si può programmare la creatività. Non si può programmare la vita. E’ questa la grande innovazione. In termini di “architettura da ambiente e di design” è un logos molto lontano da quello di un Renzo Piano o di un grande artista come Filippo Fonseca. Forse più vicino a Stefano Boeri. Di sicuro ritroviamo gli stessi identici needing in lavori di Franco La Cecla “Contro l’Urbanistica” Einaudi ed. o di Salvatore Settis“Architettura e Democrazia”. Di sicuro l’approccio generale è ben affrontato (in termini di antropologia urbana) da Cristina Bianchetti in “Spazi che Contano-IlProgetto Urbanistico in Epoca Neoliberale” Donzelli ed.Insomma, in questi ultimi due anni è più che evidente. Siamo di fronte a un cambio di fase, siamo di fronte a un nuovo e inedito modo di essere cittadini. Proprio in questi ultimi due anni la pandemia, lo smart-working, la Dad etc. etc. hanno dato una forte spinta verso un radicale cambiamento dei nostri comportamenti e delle nostre abitudini. Nel frattempo siamo nel pieno di una rottura dei paradigmi teoretici su cui ci siamo poggiati per una vita. Come abbiamo già scritto su queste pagine in “Amare La Citta”, sapremo afferrare tutto questo come un’opportunità? Dipende dal rispetto che abbiamo verso “L’altro da noi”.