“Le condizioni poste dal CTS per la riapertura delle discoteche la rendono di fatto impossibile, e suonano surreali le dichiarazioni entusiaste sul ‘primo passo’, dato che nella sostanza non c’e’ nessun passo. I costi di gestione di un locale sono troppo ingenti per poter riaprire con gli introiti di un 35% di capienza. In alternativa, i gestori sarebbero obbligati a praticare prezzi inaccessibili ai piu’. Sarebbe stato piu’ onesto dire ‘non ci sono le condizioni, non si puo’ riaprire’, ma con i dati sule vaccinazioni sarebbe stato difficile da motivare. E’ riscontrabile sul sito del governo: l’84,23% della popolazione ha fatto almeno una dose di vaccino; il 79,47% ha completato il ciclo vaccinale”. Lo scrive in una nota la Siae. “Nel giugno 2020, nonostante SIAE fosse contraria, con un DPCM il Governo riapri’ senza limitazioni le discoteche, con le conseguenze tristemente note. Ora che sembrano esserci le condizioni di fatto le costringe a restare chiuse, senza una valida motivazione. Riteniamo sbagliato correggere un errore con un altro errore. Lo stesso discorso vale per i concerti, che restano impossibili da organizzare”.
“La petizione che SIAE ha lanciato sulla piattaforma www.cultura100x100.it ha raccolto finora oltre 17 mila firme e chiede la riapertura a capienza totale e in sicurezza dei luoghi della cultura. Gli appelli di autori, artisti, organizzatori, lavoratori dello spettacolo e semplici cittadini restano inascoltati; il severo protocollo redatto per le associazioni di categoria da autorevoli scienziati non viene preso in considerazione. Non vogliamo morire SANI – prosegue la nota -. Senza possibilita’ di lavorare l’industria della musica live rischia seriamente di scomparire, portando con se’ la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, soprattutto per i piu’ giovani. Ribadiamo per l’ennesima volta che l’industria della cultura e’ una delle piu’ importanti del paese, per valore, occupati e riconoscibilita’ all’estero. E’ tempo di farla ripartire a pieno regime, perche’ c’e’ il rischio di far morire un settore. Non ci sono figli di un Dio minore tra i lavoratori dello spettacolo”.