di Felice Massimo De Falco
Finora un tentativo velleitario di formare una forza di centro (di gravità permanente direbbe Battiato) si è rivelato un assembramento tra non vaccinati. Troppe primedonne affette dal virus del protagonismo autoreferenziale. Mettere assieme i Calenda, i Renzi, Carfagna e chi altro è un cruciverba a parole incrociate. Allo stesso Berlusconi non dispiacerebbe l’idea, impelagato tra alleati borbottanti e (s)propositi quirinalizi.
C’è un’enorme prateria al centro, eppure questi epigoni di se stessi si disperdono in timidi distinguo tra loro. Eppure servirebbe come il pane un contenitore per i disillusi che si astengono dal voto, restando in attesa di una forza convincente. E servirebbe a Draghi per assicurarsi un polo riformista di riferimento in questo mare magnum di parolieri. Il suo bouquet olfattivo annusa un mite riformismo.
La metà degli italiani non vota più. È uno dei malanni della democrazia italiana. C’è un “un circolo degli apoti”, di quelli che non se la bevono, da conquistare. Per questi, c’è un futuro che attende di essere immaginato. Le prossime elezioni si vincono a centrocampo. Ma per ora nessuno intende fare da mediano metodista. Non si tratta di fare una sommatoria aritmetica ma di costruire un’alternativa politica di spessore ad una destra conservatrice e unfit a governare e una sinistra spostata sempre più a sinistra, con in più il tarlo dei 5 stelle.
Un “terzo includente” direbbe Norberto Bobbio. Ma ognuno finora aspira a far la mezza punta, col risultato di rivelarsi mezzatacca. Manca l’appeal del leader delle discese in campo col suo linguaggio semplificato. Tocca giocare di squadra. Ma è ressa tra protagonismi. È la solitudine dei numeri primi, che potrebbero diventare qualcuno se solo cominciassero a ragionare tra loro.
Magari le elezioni del Presidente della Repubblica ci diranno qualcosa in più sulla geografia nuova dei partiti che va formandosi. Segretamente.
