di Anna Adamo
Sembrano ormai lontani i tempi in cui in Parlamento si discuteva della Riforma della Giustizia voluta fortemente dal Ministro Marta Cartabia, eppure, secondo gli esperti del settore, la tematica è più attuale che mai e non può assolutamente essere messa nel dimenticatoio.
A far leva sulla questione è l’ Avvocato Davide Pentangelo.
È realmente necessaria una riforma della giustizia? Cosa pensa dei vari aspetti di quest’ultima?
La riforma Cartabia unitamente a ciò che si chiede di riformare tramite un eventuale referendum toccano molti aspetti focali del comparto giustizia cercando di perseguire l’obiettivo di una maggiore modernità del settore, a nostro avviso in maniera però non sempre impeccabile.
Per quanto riguarda la separazione delle carriere tra giudice e pubblico ministero se ne può discutere considerando la posizione di chi ritiene che per rendere effettiva la terzietà del giudice, P.M. e difensore devono essere posti in posizione paritetica; risultato che, però, potrebbe essere raggiunto rafforzando i poteri di indagine del difensore e dando pari dignità alle risultanze istruttorie di P.M. e difensore. Basterebbe separare gli ambienti di lavoro “staccando” gli uffici della Procura della Repubblica dagli uffici della magistratura giudicante.
Sulla riforma del Csm risultano alcuni punti interrogativi, la riforma presenta alcune ambiguità in tema di possibili influenze dell’esecutivo sulla funzione inquirente. Ad esempio, chi presiederà post riforma i due C.S.M.? Come scongiurare l’insidia che il governo possa condizionare l’attività di investigazione dei P.M.? Andrebbero comprese meglio quali sono le modalità di composizione dei due rami del C.S.M.
L’art. 112 della Costituzione dice che il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale. Il nuovo art. 112 disegnato dalla riforma prevede che “l’ufficio del pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale secondo i criteri stabiliti dalla legge”. Ciò significa che spetterà al Parlamento determinare quali sono le priorità da seguire, privilegiando alcuni reati rispetto ad altri.
Su tale punto va detto che l’obbligatorietà rappresenta l’architrave della nostra giustizia penale perché sottrae al magistrato ogni margine di discrezionalità. In base al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, tutte le notizie di reato meritano la giusta considerazione sotto il profilo dell’obbligo dell’indagine. Come è stato segnalato la riforma non chiarisce sulla base di quali criteri il Parlamento potrà stabilire le priorità da fare seguire alla magistratura.
Inoltre nella Costituzione verrà inserito un comma che introduce una differenza, del tutto inedita, tra l’accusa e la difesa nella possibilità di impugnare le sentenze che così recita: “Contro la sentenza di condanna è sempre ammesso appello davanti ad un giudice di secondo grado. Le sentenze di assoluzione sono appellabili nei casi previsti dalla legge”.
Vi è da riflettere che la norma potrebbe non garantire pienamentela tutela delle ragioni delle parti civili che vedrebbero vanificate le loro possibilità di ottenere giustizia in modo certo. Inoltre nuovamente, la norma non chiarisce i criteri che il Parlamento dovrà seguire per individuare “i casi previsti dalle legge” nei quali il P.M. potrà impugnare una sentenza di assoluzione.
Ciò che è stato maggiormente motivo di dibattito all’interno della riforma Cartabia è la previsione del termine di improcedibilità per alcuni processi. Qual èil suo pensiero a riguardo?
Aspetto centrale e che ha fatto molto discutere della riforma è sicuramente quello legato al termine di improcedibilità nel caso di superamento dei termini per quanto riguarda i processi in Corte di Appello e in Cassazione.
Come è stato efficacemente detto fissare una tagliola con un termine così ristretto vuol dire non assicurare che tutto venga adeguatamente analizzato con la dovuta attenzione.
In aggiunta è stato osservato che l’introduzione di questo termine di improcedibilità potrebbe incentivare le impugnazioni e gli ostruzionismi strumentali, ottenendo quindi nella sostanza l’effetto opposto a quello perseguito moltiplicando il numero e la durata dei processi.
Proficuo potrebbe risultare concentrarsi e spendere le proprie energie verso un irrobustimento di personale qualificato a corredo e in ausilio degli uffici giudiziari.
La parte della riforma che ha ad oggetto l’ufficio del processo, invece, va accolta con favore per la spinta che potrebbe dare all’accelerazione dei meccanismi procedimentali del processo. Il punto introdotto in cui il pubblico ministero possa e debba chiedere il rinvio a giudizio solo quando gli elementi acquisiti lascino trapelare una ragionevole previsione di condanna può essere d’aiuto ad evitare che ci siano accuse troppo pretestuose e che funzioni un po’ da filtro per l’esercizio dell’azione penale. Ancora positive e nel solco di una modernizzazione sono le introduzioni che implementano la digitalizzazione della macchina processuale e quindi il processo telematico, il deposito degli atti, il regime delle notificazioni, l’estensione delle ipotesi di citazione diretta a giudizio che rappresentano tutte norme che sicuramente saranno d’ausilio nella misura in cui, però, siano accompagnate da un adeguamento del personale amministrativo; ci sono spessi pensionamenti che poi non sempre vedono un celere rimpiazzo del personale rimasto vacante.
Il vero valore da tutelare è quello di cambiare ma nel segno della tutela, del rispetto e della salvaguardia dei diritti delle persone e delle imprese.
Positivo e da accogliere con favore è dunque quell’aspetto della riforma teso all’istaurazione di nuovi modelli organizzativi ai fini del raggiungimento di quell’obiettivo primario della ragionevole durata del processo che costituisce uno dei principi cardine che sorreggono il concetto di giurisdizione.