Di Massimo Felice De Falco
C’è una vulgata diffusa tra la bouvette del Palazzo che vorrebbe spingere Draghi a fondare un partito, magari di centro. Un aggregato di anime subalterne alle sinistre e alle destre.
Ma ciò rappresenterebbe un rischio, non solo per la immacolata figura del Presidente in carica, ma per l’Italia stessa. Avere consenso istituzionale dentro e fuori l’Italia non equivale ad avere consenso elettorale.
L’esperienza Mario Monti può essere eloquente. Draghi, tra l’altro, non è un animale da palcoscenico, un runner capace di intercettare voti negli anfratti popolari. È una figura istituzionale, la migliore che abbiamo, imposta dall’emergenza di un Italia barcollante.
E tale deve rimanere. A spingerlo nell’arena elettorale si rischia di bruciarlo. Fa bene Berlusconi, ma non solo lui, a dire che l’esperienza Draghi debba durare fino al 2023, allontanando l’ipotesi Quirinale. Resti Mattarella per altri due anni, durata del mandato legislativo di Draghi, e poi si elegga quest’ultimo Presidente della Repubblica. Abbiamo bisogno di assolute certezze sull’uscita dalla pandemia e sulla ripresa economica. Siano valori condivisi da tutti i partiti. Solo una figura riconosciuta e consolidata può contribuire a questo. Piuttosto si potrebbe credere alla benedizione di Draghi per un polo alternativo che guardi al centro, ma non una esperienza diretta. Queste manovre serviranno anche a delineare una nuova toponomastica degli schieramenti che si affronteranno alle politiche prossime. Poi toccherà alla politica di fare Politica. Finora registro solo incertezze e velleità. Scaramucce tra infanti.