di Alessandra Senatore
Oggi, 26 novembre, vorrei continuare a parlare di femminicidio e violenza di genere. Ieri, in TV, abbiamo ascoltato racconti di storie di ordinaria violenza, letto sui social appelli a fermare questa barbarie, ma nulla si è detto su come si possa rendere più efficace l’attuale sistema di contrasto a questo fenomeno che ormai è divenuto “normale” (nel senso che non è un fatto eccezionale), vista la frequenza e la costanza del suo ripetersi nel tempo.
Tutte le storie di femminicidio hanno in comune uomini la cui violenza muove da una volontà cieca di annientare psicologicamente e fisicamente delle donne e ciò che emerge è che questa volontà il più delle volte non si ferma con disposizioni di allontanamento, anzi in molti casi si inasprisce, e questo le donne maltrattate lo sanno ed è il motivo per il quale spesso hanno paura di denunciare.
Dire STOP alla violenza sulle donne vuol dire fermare con azioni più stringenti quella volontà prima che si attui. “Bisogna denunciare”, “non siete sole”, “bisogna trovate il coraggio di lasciare quegli uomini”: questi gli appelli per aiutare le vittime, ma non è abbastanza per fermare quegli uomini, che non si vogliono far lasciare e per i quali le denunce non rappresentano un deterrente, appunto perché quella volontà di annientare è “cieca”.
Malgrado gli sforzi enormi dei tanti centri anti violenza ci sarà sempre un momento in cui quelle donne resteranno – anche solo per un attimo- da sole dopo aver denunciato, dopo averli lasciati, e in quell’attimo loro possono agire. Allontanarli non basta a fermarli, perché loro sono determinati ad annientarle ed proprio in questa determinazione che c’è un altro elemento connaturato a tutti i femminicidi: il fatto che quella volontà non viene mai covata in silenzio, proprio perché è incontenibile come la rabbia che la muove. Questi uomini lo annunciano sempre, lo urlano, lo scrivono: “ti ammazzo”, “ti massacro”, “ti distruggo”, e nella stragrande maggioranza dei casi non sono solo minacce verbali, ma il preludio di un gesto estremo, definitivo. In tutte le storie di femminicidio gli assassini avevano sempre annunciato quello che poi hanno fatto eppure non sono stati fermati. Ascoltando i resoconti dei fatti di cronaca sul tema si rileva come una vacanza nel sistema di tutele della vittime, forse dovuta ad una sottovalutazione della pericolosità potenziale di questi uomini, che però visti i dati sembra assurgere a certezza. È piuttosto evidente dai racconti che il semplice allontanamento se non è poi controllato, monitorato e quindi attuato con le dovute misure cautelari non è sufficiente ad evitare il peggio. Bisogna trovare il modo di fermarli prima!
Bisogna trovare il sistema di arrestare le loro azioni sin dal momento in cui vengono annunciate, da quando iniziano ad essere concrete: botte, persecuzioni, intimidazioni e minacce, non sono solo segnali o sintomi di qualcosa che potrebbe accadere, ne sono già la manifestazione concreta e vanno quindi perseguite con maggiore fermezza. Le minacce gridate con rabbia più e più volte non sono solo uno sfogo del momento, le botte date anche solo una volta non sono un errore casuale ma vanno considerate come i primi atti di una tragedia che sta per consumarsi. Per cui, visti anche i drammatici dati sulla frequenza del fenomeno, è piuttosto chiaro che qualcosa deve cambiare nella gestione dei casi di recidiva di violenza sulle donne, sia sul piano del rafforzamento delle cautele giudiziarie a difesa delle potenziali vittime, ma anche nel modo di trattare i maltrattanti che evidentemente non vanno semplicemente allontanati ma anzi vanno seguiti – sia sul piano del controllo, che dal punto di vista della loro “correzione”,dove possibile – magari, a seguito di denunce, andrebbero previsti per legge percorsi di recupero prima che arrivino all’extrema ratio del proprio comportamento deviante.
In ogni caso la libertà di agire di questi uomini va limitata e controllata in maniera più efficace, banalmente anche loro non vanno lasciati soli. Bisogna un po’ cambiare la prospettiva di approccio. Non è facile ma va fatto, se non vogliamo ritrovarci ogni 25 novembre a commentare sempre gli stessi inaccettabili dati di un fenomeno in costante permanenza.