Di Massimo Felice De Falco
Perdere una battaglia, dopo decenni trionfali, per un animale politico è un urto pesante. Si arretra, si rimugina ossessivamente, si cede alle riflessioni estemporanee. Chi ha scelto altre vie, chi ha avuto la credibilità che non meritava, chi è stato accanto nella sventura. Gli errori ci sono stati e sono stati ingeriti amaramente. Forse un Ulisse ti avrebbe aperto gli occhi.
Ma per un guerriero che mangia pane e politica non è facile giustificare la sua assenza. Ma poi si avanti, ci si lecca le ferite e si preparano propositi di revanche, con più prudenza ed osservazione. Ci si guarda intorno, si cercano spazi liberi per reinserirsi nell’agone. L’età conta poco quando il cervello è integro.
Finisce il momento delle considerazioni prolungate e si getta il seme della rifioritura politica. Non c’è spazio per strategie attendiste. Ad oggi c’è tutto che potrebbe farlo rimpiangere. Non ci sono degni discendenti, solo improvvidi ascendenti, pochi acuti ragionatori. Non è tempo di leadership indiscusse e di vaticinatori di successi facili. Occorre lavorare su una consorteria di competenti.
Serve però una linea che orienti gli orfani della battaglia persa. Ricucire i lembi di un popolo già sdrucito è la mia sua missione. Dopo un’anno di vedovanza, ritemprato, Achille esca dalla tenda, raccolga i Mirmidoni (selezionati) e li conduca verso il posto che gli compete. Non serve un capo. Nessun nemico da combattere. Bisogna solo ristabilire un principio: la competenza al potere. Serve la sua verve di conducator e i miti consigli dei più meritevoli. È tempo di rimettere la città nelle mani di una guida sicura. La tua storia è un feuilleton che manca di finale.
Le mura di Troia già si sgretolano.