Di Massimo Felice De Falco
“Cari concittadini,
stamattina ho rassegnato le mie dimissioni dalla carica di Assessore Comunale.
Questa mia decisione interviene a seguito di una riflessione tanto meditata e travagliata quanti sono stati lo spirito di servizio e l’abnegazione di un decennio di impegno politico che affonda le radici nel socialismo liberale, fonte di costante e rinnovata ispirazione per me.
La mia esperienza di governo della città si interrompe qui, dunque, nella consapevolezza di aver offerto un contributo al processo di trasformazione del nostro territorio e di aver lealmente servito la collettività pomiglianese intera, per quanto mi è stato possibile fare in ragione delle mie capacità, e per la cui causa non ho risparmiato nulla, ivi compresi affetti familiari ed impegni professionali.
E tuttavia, più non rintraccio quell’entusiasmo nato nel 2010 capace di stimolare l’impegno politico che si deve alla Comunità che amo. Devo, mio malgrado, prendere atto di un graduale processo di decadimento di una complessiva visione di futuro sostituita, troppo spesso, da liturgie ottocentesche e da smodati arrivismi. Quando l’Ego prevale sulla Politica non si cambia il mondo ma si finisce col possederlo: e la Comunità regredisce.
Lascio, dunque, e prenderò una consiliatura sabbatica. Ma ogni fine costituisce un nuovo inizio sicchè il mio ardore politico non si arresterà di certo nella convinzione che, presto o tardi, tornerà a farsi strada la coscienza politica intesa come più alta forma di carità.
Coraggio amici e concittadini, ci sarà sempre un tempo ed un luogo della Politica, ed io vi aspetterò là!”
Con queste parole trancianti, Pasquale Sanseverino, assessore, chiudeva la sua esperienza governativa col sindaco Lello Russo (sarebbe arrivata anche la dimissione di Raffaele Sibilio ed altri pezzi importanti) a poche settimane dal voto e sintetizzava gli esiti di una lacerazione interna, politica, ma anche umana con l’uomo con cui aveva il più stretto legame politico-sentimentale. Sanseverino era un po’ il Claudio Martelli di Lello Russo, l’uomo che ne conosce meglio vizi e virtù. Un idillio oltre la politica.
La storia della politica insegna che i “delfini” devono “ammazzare” il padre per non arenarsi nella seconditudine a vita. Ha beneficiato largamente della saggezza del sindaco, imparando il “mestiere”.
Sanseverino aveva in mente la “mossa del cavallo” di renziana memoria, assorbendo le velleità grilline, per poi rilanciare una strategia di governo visionario, alternativo. Il periodo delicato imponeva una riappacificazione vera.
E rinfocola: “Il punto non sono le elezioni, ma la sua ingombrante figura (Lello Russo)che si nutre di figure di dubbio valore cui non avrebbe bisogno se fosse un vero saggio”.
E rimarca caustico:”Un uomo passa alla storia non solo per quello che fa ma anche per quello che riesce a costruire”.
In effetti, Il tatticismo, le liste forti hanno prevalso sulle incombenze di una campagna elettorale che andava impostata totalmente diversamente da quella che è stata. Servivano i contenuti orazionali e la comunicazione massiccia delle cose fatte.
Sanseverino si è escluso da solo tra i papabili, invocando un progetto prima che una persona. Era scettico sulle potenzialità dell’ alchimia politico-elettorale che l’ex sindaco Russo aveva previsto, delegando la scelta all’alleanza, pur benedendola. Sanseverino avrebbe potuto stare dove stava, silenziandosi, ma ha scelto la strada della dissidenza per l’interesse generale, non candidandosi manco al consiglio comunale.
La sua girata di spalle si è prestata a più ricostruzioni. Tradimento, arrivismo, immaturità politica, imberbi velleità. Alla fine la lacerazione c’è stata ed è stata forte.
I retroscenisti “informati” lo accusano di non essersi fatto avanti e dire la sua nella complessa scelta del candidato a sindaco.
Non gli si perdona però di aver contributo indirettamente alla vittoria di Del Mastro.
Ormai è passato più di un anno dalle elezioni. Questo non è un rimestìo delle ragioni di una disfatta elettorale, ma un monito alla riflessione per evitare fraintendimenti ulteriormente lesivi e prolungati rancori.
“Non ho mai coltivato dentro me l’ambizione di fare il sindaco, badavo ad un progetto nuovo in cui non ci poteva essere una lista targata Lello Russo, con lui candidato, che avrebbe dovuto servire a tenere insieme le anime della maggioranza. Serviva un reset col passato. Sono stato spettatore interessato di una stortura strategica, che privilegiava la devozione al leader piuttosto che l’interesse della comunità. Ho provato a spiegargli le ragioni di una scelta sbagliata, ma invano. In politica non ci sentimenti. Nutrivo profonda diffidenza verso un progetto elettoralistico senza contenuti. Occorreva parlare a tutta la città con umiltà senza mostrare i muscoli. Ho avuto ragione. Fin quando poi non ho più resistito ed ho rassegnato le dimissioni”
Secondo il retroscena della rottura che traccia Sanseverino, la frattura viene da lontano. “Negli ultimi due anni di governo ho assistito da strenuo dissidente ad una degenerazione delle strategie che aveva il sindaco che si è rivelata fallace. Nel 2019, senza consultare nessuno, appoggia Franco Roberti del Pd all’Europarlamento e stringe un patto politico con De Luca, offrendogli un candidato (Mattia De Cicco) per le regionali. Era il periodo prima della pandemia, la cui gestione esemplare di De Luca lo portarono a cifre bulgare nei sondaggi e nelle urne. A De Luca non serviva più Pomigliano. Ed infatti i rapporti col Lello si diluirono. Io restai in Forza Italia, nonostante i suoi propositi di trasformare il simbolo, altri seguirono il sindaco”, afferma Sanseverino.
Non sappiamo come sarebbero andate le cose. Forse ci sarebbe stato comunque un ballottaggio. Si sarebbe perso lo stesso. La città di sicuro chiedeva un reset profondo. Onore ad Elvira Romano che si è battuta strenuamente. Ma forse si sarebbe affrontata la campagna con una disposizione d’animo diversa.
La distanza percentuale tra i candidati è stata siderale. Non sono bastate le messe scalze tra i peones per recuperare la forbice con Del Mastro. Bisognava parlare a tutti sin dall’inizio.
Essere malleabili, concavi e convessi, così come sono doti di Sanseverino che non retaggi culturali irrigiditi e si muove senza filtri, prono alla diversità di vedute
Sanseverino ha la physique de rule dello spontaneo, del ragionatore genuino che non rimesta in corpo revanche personali. È oratore attento e calibrato. Di estrazione socialista, non ha impalcature ideologiche fossilizzate nè attrezzi lessicali ripassati. È giovane ma già scafato per sostenere una battaglia elettorale da primus inter pares. Una campagna concitata, sollecitata da contenuti, interscambi serrati, oratoria armoniosa. Un uomo libero da retroterra culturali e politici ostacolanti. Non gli si può negare quel quid che fa la differenza nell’agone politico. Poi è anche civettuolo, non vanesio, plus che conta sull’elettorato.
Oggi Sanseverino fa il libero professionista ed il libero pensatore. Non ha incarichi politici. Non deve niente alla politica. È lontano dai riflettori. Non disdegna però di guardare alla politica e alle sue dinamiche interne. La politica è un dolce veleno.
Sarebbe un bene comune mettere da parte i fraintendimenti e rifarne una risorsa per la comunità di Pomigliano. Ricucendo, a Dio piacendo.
La mazzata “purificatrice” c’è stata: ora si separi loglio dal grano per ripartire. Con altre premesse. Per il futuro niente è più sbagliato del ritorno al passato. La politica è l’arte del possibile.
“Si tratta di vivere ogni cosa.
Quando si vivono le domande,
forse, piano piano, si finisce,
senza accorgersene,
col vivere dentro alle risposte
celate in un giorno che non sappiamo.”
Rainer Maria Rilke – Sulla pazienza