14.3 C
Napoli
19 Dicembre 2024

Chi siamo

Luigi Di Maio, collezionista di figure barbine

Di Felice Massimo De Falco

Erano gli albori della sua prima candidatura alla Camera dei deputati e appuntó un lungo e farneticante cahiers de doléances manco fosse un predestinato a figure barbine. Nei suoi propositi programmatici c’era “la riconversione industriale della Fiat ad azienda che produce energia solare”.
La Fiat che produce macchine. Gli confutai tra le tante cose che la Fiat era un’azienda privata e lui si candidava ad un ruolo pubblico. Mi rispose che “bisognava darsi una prospettiva, un punto d’arrivo programmatico”.

Ne trassi un accenno di ilarità. E comunque, beato Porcellum, venne eletto e fu nominato dai vituperati partiti “da inscatolare” vicepresidente della Camera. A dire il vero, eseguì il compito con capacità e garanzia democratica. Fu la sua leva politica. Tant’è che divenne leader del Movimento 5 stelle e, grazie al suo mentore Beppe Grillo, ottenne quasi il 34% dei voti, primo partito d’Italia, allegando un programma politico alquanto visionario e fantasioso.

Andò al governo con Salvini. Venne indicato come vicepremier e ministro dello sviluppo economico. Una bella tegola. Da lì partì un’escalation attonita di ribaltamenti programmatici incoerenti col punto di partenza, tra la reazione meravigliata dei loro elettori. Matteo Renzi (“ora tocca a voi”) lo aveva predetto: per snaturare i grillini basta farli governare. E così è stato.

Da No Tap a Si Tap, da No Tav a si Tav, da no Vax a Si Vax, dal no al finanziamento ai partiti al 2 per mille ai partiti, da Bibbiano agli amorosi sensi col Pd, dall’esilarante quanto spregevole “abolizione della povertà, dalla, per fortuna abortita, riforma Bonafede che allungava i tempi di prescrizione del processo, dal mai avvenuto ma dichiarato salvataggio di aziende che dopo poco hanno chiuso o delocalizzato. Valga per tutte la vicenda della Whirpool. Dallo streaming alle riunioni di caminetto, con buona pace per Casaleggio.

Dalla lottizzazione della Rai alle nomine di
amici e sodali nelle partecipate dello Stato, dall’abolizione del secondo mandato parlamentare alla lotta sanguinosa tra sommersi e salvati per il terzo mandato, dal no ai digestori anaerobici al sì incondizionato, dalla nazionalizzazione delle banche al salvataggio pubblico senza assorbimento del management, dalla punizione esemplare da dare ai Benetton estromettendoli fino al compromesso con gli stessi. Dalle foto coi capi dei gilet gialli francesi ai blazer raffinati nel consiglio dei ministri. Per la tacer della gestione creativa della pandemia. L’elenco dei capovolgimenti è lungo.

Fino ad arrivare all’annuncio di 2 miliardi alla Leonardo di Pomigliano d’Arco che produce aerei che intanto annunciava cassa integrazione per più di un migliaio di operai, tra il silenzio assordante delle istituzioni. Nessun ammonimento all’azienda, nessuna revoca dei contributi, nessuna solidarietà ai lavoratori, tranne il fiancheggiamento nutrito di alcune forze politiche locali d’opposizione agli più di 1174 operai in cassa integrazione. Anche l’Udc ha manifestato vicinanza ai lavoratori attraverso un post.

Afferma l’ex sindaco di Pomigliano d’Arco Lello Russo: “Purtroppo tutte le rosee previsioni e le promesse fatte in una acclamata assemblea alla Leonardo di qualche anno fa dall’on. Luigi Di Maio si sono dimostrate solo sterile propaganda.
La cosa è tanto grave se ciò avviene nella sua città e sui destini di tanti lavoratori”.

Dice Domenico Leone, consigliere d’opposizione di Pomigliano: “È un dramma per la comunità di Pomigliano
Stime del Corriere della sera dicono che tra Pomigliano (1.174), Nola (430), Foggia (800) e Grottaglie (1.049) sono oltre 3400 i lavoratori della Divisione Aerostrutture di Leonardo che, dal 3 gennaio, andranno in cassa integrazione ordinaria per 13 settimane, senza considerare l’indotto. C’è bisogno che la politica, anche locale, stia accanto a questa gente e faccia sentire la sua voce a Roma”

Un’incresciosa e repentina roteazione di idee e programmi che, più che ad un visionario e geniale cambio di prospettiva, fa pensare che Di Maio non sia altro che un autorevole arrivista. Il potere è il suo cruccio.

Stravolgere le radici di un partito perdendo 3/4 di elettorato non è allora un’intelligente cambio di opinione ma una estesa collezione di figure barbine.

Articoli correlati

Ultimi Articoli