Di Felice Massimo De Falco
Dice Nunzia, avvenente ragazza beneventana, bipolare di tipo 1: “Il bipolarismo per me è come vivere sulle montagne russe. Passare dall’inferno al paradiso. A periodi ti senti invincibile, addirittura onnipotente, altri a stento riesci parlare, guardarti allo specchio riconoscere quel po’ che rimane di te. Quando ti sembra di stare bene è proprio il periodo più pericoloso perché ti butti a capofitto in tutto ciò che ti capita (che si tratti di lavoro,di relazioni,di progetti e sogni)corri forte, all’impazzata dormi poco..piangi dalla gioia e rabbia messi insieme. Ti emozioni per tutto e addirittura dimentichi pure di mangiare. Poi d’improvviso il buio, il crollo, perdi di vista la vita, cominci con il non uscire più come prima,dormi di più fino a fare della tua stanza la tua prigione e del tuo letto il tuo peggiore nemico.Non ti curi più,non hai più forza di fare nulla. Può capitare di sfogare col cibo ma solo x il gusto di riempire un vuoto non un desiderio! Vai a dormire con la speranza di non risvegliarti più. Non so se associare il momento down ai guai che ho fatto durante il momento maniacale ma una cosa è certa: in entrambe le fasi si soffre. Si soffre molto, nella prima si sente tutto. Ti sembra che anche le pietre hanno un’anima. Nella seconda il Nulla, il vuoto, la morte dell’anima.” Ma non è solo quello come avverte Elena, bipolare “storica”: “Il disturbo non si limita ad un alternanza d’umore pianti gioia tristezza euforia ma è la tua testa spesso a giocarti contro e a tradirti”
Potrebbe essere l’esatto resoconto di una medaglia a due facce come quella del disturbo bipolare, ma c’è una tendenza culturale che storpia la vera essenza di una vera e propria malattia mentale. Forse la più grave, dopo la schizofrenia.
C’è una moda culturale che sta prendendo piede a seguito degli outing di personaggi famosi, secondo cui il bipolarismo sia un piacevole mood esistenziale, un plus che ti carica di un’energia esorbitante capace di scalare rocciose montagne. La parola è entrata nel gergo comune populistico come un fenomeno che dona genio e grazia intellettuale. Un riempitivo di uno skill socio-culturale tendente alla produttività smodata e creativa. Un dono della natura più che una palese sventura. Un disdicevole equivoco della chimica cerebrale, che porta “cambiare opinione da un momento ad un altro”. Il rehab annunciato dai vip è considerato come lo step di una carriera ricoperta di infatuazioni effimere.
Bisogna allora sfatare il mito bipolarismo uguale alto quoziente intellettivo e inventiva fuori dal comune e riportare il termine nel canale che gli si addice, cioè quello di una bruciante e invalidante malattia mentale.
L’Oms afferma che la depressione nel 2022 sarà la seconda causa di invalidità dopo le malattie cardiovascolari. In effetti, le stime dicono che i farmaci più venduti sono quelli psicotropi.
Sogni spezzati, progetti incompiuti, prospettive di una vita a bassa quota, ambizioni tranciate e diluite nella nostalgia e nel rancore. Famiglie che si sfasciano nell’ incomprensione di un fenomeno che diviene impattante nelle relazioni quotidiane.
Donne e uomini inficiati da una sofferenza fisica e mentale che deturpa la voglia di stare tra i viventi. L’oblio diventa un rassicurante rifugio. Alzarti dal letto, lavarti, vestirti, fare 4 passi, sentirsi minimamente connessi con la realtà diventa un’impresa bellica.
È una malattia che ti trasfigura l’identità, te la seppellisce, così come è successo a Francesco, ex capo di un’officina a Genova, una vita fiera, forgiata nel lavoro e nella dedizione alla famiglia. Poi un incidente sul lavoro gli ha reso inutilizzabile una mano, si è sentito inutile e da lì un declino corredato di medici, ricoveri, cure che ancora oggi non sortiscono effetti. Francesco è quasi catatonico, immobile nel suo letto, riesce solo a fare banali azioni, come accompagnare la sua grande moglie a buttare l’immondizia. Il suo ultimo medico gli ha indicato la Tec, ma i familiari sono scettici.
Ma la depressione è solo una triste fase di una malattia ben più complessa, che ha combinazioni e variabili infinite.Non è una manna dal cielo ma un girone dantesco infernale in cui la dignità di vivere viene svilita fino a desiderare la fine. “La mania è il fuoco della malattia, la depressione la sua cenere”, era l’aforisma del famoso psichiatra Koukopulos.
Sono tanti i personaggi storici famosi che soffrivano di bipolarismo che con una cura adeguata hanno cercato di vivere dignitosamente, come Montanelli, Churcill, Cossiga, Beethoven, Van Gogh, Alda Merini ma tanti altri.
Dice Margherita, autrice di “Quando tornano le rose”: “Questa malattia è subdola: ti uccide pur tenendoti in vita.”
Ma cos’è il disturbo bipolare?
Secondo l’Istituto Lucio Bini di Roma (fonte https://www.centrobini.it/ ) Il disturbo bipolare, o Malattia Maniaco-depressiva, è una seria condizione caratterizzata da periodi di depressione e periodi di mania o ipomania, intervallati solitamente da una fase di umore normale. Le due fasi si alternano spesso in modo più o meno regolare (prima la depressione e poi la mania o viceversa). La lunghezza delle fasi è soggetta a notevoli variazioni, ma usualmente ha la durata di tre-sei mesi, se non trattate.
Una persona con un disturbo bipolare può andare incontro a molti episodi di variazioni amorali nel corso della vita. Gli intervalli interepisodici possono durare settimane, mesi o anche anni. Esistono, comunque, anche persone che passano velocemente da una fase all’altra, senza avere alcun intervallo libero. Se il numero di episodi è almeno di 4 per anno, si parla di rapida ciclicità.
Chi è affetto da disturbo bipolare?
Circa 1 persona su 100 sviluppa questa condizione a un certo punto della vita. Può comparire a ogni età, ma più comunemente avviene tra i 18 e i 30 anni e colpisce con una simile proporzione gli uomini e le donne.
Qual è la causa del disturbo bipolare?
La causa non è conosciuta. La predisposizione genetica sembra giocare un ruolo importante nella genesi del disturbo, ma situazioni stressanti possono scatenare episodi di mania e di depressione o anticipare la comparsa del disturbo in persone predisposte.
Quali sono i sintomi della mania?
La mania causa un umore straordinariamente alto o irritabile che dura almeno una settimana.
Questa si può sviluppare abbastanza velocemente, anche in pochi giorni. Quando una persona è in uno stato maniacale, usualmente ha almeno 3 o 4 dei seguenti sintomi:
- Idee grandiose su se stesso o sulla propria importanza.
- Energia aumentata e sonno diminuito.
- Tendenza alla logorrea e accelerazione dell’eloquio.
- Fuga delle idee: si tende a passare velocemente da un’idea ad un’altra. Spesso si può avere la sensazione che i pensieri corrano nella testa.
- Facile distraibilità.
- Facilità nell’avere nuove idee e pianificare nuovi piani, spesso grandiosi e irrealistici.
- Irritabilità e agitazione.
8.Volontà di svolgere attività molto piacevoli (spendere soldi, essere disinibiti sessualmente, prendere decisioni impulsivamente, partecipare ad avventure rischiose, assumere alcol o droghe illegali), ma con modalità eccessive.
Le manie gravi possono presentare sintomi psicotici. Ad esempio una persona può sentire voci inesistenti (allucinazioni uditive) o avere falsi convincimenti (deliri).
Normalmente non ci si rende conto di stare male quando si è in uno stato maniacale. Sono le persone vicine (parenti, colleghi e amici) che osservano i comportamenti bizzarri e si rendono conto che vi è qualche problema. Spesso però, se si prova a dire a una persona in stato di eccitazione che non sta bene, si ha come risposta una reazione di rabbia e di nervosismo.
Dice Elena: “Io non so mai veramente chi sono, nel senso che quando sono in fase down dormirei e basta, mi fa male tutto, anche i capelli. Ho paura di tutto fumo, 2 o 3 sigarette al giorno e mangio forse 2 volte a settimana, bevo litri di acqua e caffè. Quando sono in up divento logorroica, cleptomane e quando rubo rido piangendo. Sto in giro tutto il giorno e faccio km, spendo compulsivamente e devo avere la casa tirata a lucido, poi riesco a fumare un pacchetto di sigarette al giorno forse anche più. Dipingo, canto, ballo, cucino benissimo e mangio come se non ci fosse un domani”
Ipomania, invece, è un termine usato per indicare uno stato di eccitazione con i sintomi meno gravi rispetto alla vera mania. Una persona in ipomania funziona piuttosto adeguatamente: appare piena di energia e solare, lavora spesso troppo, ma ha difficoltà a “staccare” e a rilassarsi. In questo stato si è sempre a rischio di prendere decisioni sbagliate e potenzialmente pericolose. I parenti e gli amici possono accorgersi delle differenze rispetto allo stato di normalità.
Quali sono i sintomi della depressione?
La parola depressione è di uso comune. Spesso si usa impropriamente per indicare le normali tristezze e delusioni della vita.
Nella depressione clinica, una persona presenta un abbassamento del tono dell’umore che dura almeno due settimane, insieme alla presenza di altri sintomi, che possono essere così gravi da interferire con il funzionamento della vita quotidiana:
- Abbassamento dell’umore per la maggior parte del giorno, quasi giorno.
- Perdita del piacere e dell’interesse nella vita, anche nelle attività solitamente svolte.
- Tristezza sproporzionata.
- Sentimenti di colpa, indegnità e inutilità.
- Scarsa motivazione.
- Scarsa concentrazione
- Problemi di sonno
- Mancanza di energia.
- Difficoltà nei rapporti interpersonali.
- Mancanza di appetito o perdita di peso oppure eccesso di appetito e aumento di peso.
- Irritabilità, agitazione, mancanza di riposo.
- Sintomi fisici (cefalea, palpitazioni, dolore toracico) ecc.
- Idee di morte ricorrenti: solitamente paura della morte o di morire, più raramente vere idee di suicidio. Alcune persone non riconoscono di essere depresse, pensano di avere dei problemi nelle loro attività o relazioni ma non sanno spiegarsi la ragione. Altre pensano di avere problemi fisici (tumore, problemi cardiaci, gastrointestinali o neurologici).
Dice Barbara, graziosa donna pugliese: “È stato un trauma averlo scoperto che mi ha fatto precipitare in una sorta di ossessione . Non facevo altro che pensarci ,ma allo stesso tempo con lo sguardo puntato sulla mia vita prendevo atto che era proprio così . Ho pianto molto affinché accettassi un male che non comprendevo ,accettazione che ancora oggi non sopraggiunge del tutto, perché i residui si fanno sentire. Restano i ricordi ,10 anni a letto ,in attesa di trovare il farmaco giusto che è arrivato dopo aver percorso una scala santa, girando mezza Italia . E così ho conosciuto anche la fase up caratterizzato da disforismo ,attacchi di rabbia e impulsività che rasentava l’aggressività . Se ricordo quei momenti ,mi vergogno ed ho perso molti amici . È una malattia maledetta che ti condanna alla solitudine. Si parla in tv sempre di tante malattie ma di noi pochi si interessano, la felicità dopata è il mantra dello spettacolo .Non la auguro a nessuno,sei piena di farmaci che deturpano il tuo corpo e la tua mente, anche se sono necessari”
Poi c’è chi come Rosy che ha avuto un episodio davvero importante: “bruciavo tutto in casa fuori al balcone, i campi di grano secchi d’ estate, per me era come un gioco come se fossi una bambina; buttavo oggetti dal balcone tipo l’aspirapolvere, la frutta, le posate qualsiasi cosa ma non me ne rendevo conto finché è arrivato il momento del TSO; sono venuti a prendermi i vigili, ovviamente accompagnati dalla mia famiglia e amiche.
E nel reparto psichiatrico mi hanno imbottita di psicofarmaci. Dormivo sempre,biascicavo quando parlavo”
Qual è il decorso usuale e l’esito di questa patologia?
Il Disturbo Bipolare è un disturbo cronico. Non vi è un decorso costante e ogni persona ha delle sue caratteristiche individuali. Vi sono, comunque, alcune regole generali.
Senza trattamento:
- La lunghezza media di un episodio di mania è 4 mesi.
- La lunghezza media di un episodio di depressione è 6-9 mesi.
- È difficile prevedere il numero di episodi di mania o di depressione che si manifesteranno. Dopo la risoluzione di un episodio di mania, un ulteriore episodio di mania o di depressione può avvenire entro un anno in circa la metà dei casi e in 5 anni in circa 7 casi su 10.
- Alcune persone hanno “stati misti” dove i sintomi di mania e di depressione si manifestano simultaneamente, ad esempio, umore depresso e pensieri che si rincorrono.
Quindi, alcune persone hanno episodi più frequenti e più gravi di altre. A causa della natura di questa condizione, le possibilità di mantenere un lavoro sono inferiori alla media.
Le relazioni possono essere negativamente influenzate. Vi è anche un aumentato rischio di suicidio, ma anche di morte in seguito a comportamenti rischiosi durante la mania. Il quadro è significativamente peggiore se si abusa di droghe o alcol.
Con trattamento: Il decorso, il pattern e la prognosi della condizione possono migliorare, anche se non esiste una cura unica e definitiva per tutti.
Poi ci sono le fasi “miste”, in cui la mania si fonde con la depressione allo stesso tempo. È una condizione clinica complessa e difficile da trattare. Ma ha decine di combinazioni possibili che spesso confondono i clinici. Una lastra al cervello non dice nulla. È tutto nell’intuizione di un medico che sa discernere tra un corteo sintomatologico assai variegato.
Colpisce ad ogni età come si spiega la “storica” bipolare Erika, giapponese trapiantata in Italia che ha fondato sui social un gruppo di mutuo aiuto: “A me a malattia è arrivata all’età di 32 anni. Fino ad allora ero una ragazza del tutto normale,lavoravo già da 12 anni anche soddisfatta del proprio lavoro. Poi una mattina all’improvviso mi sono svegliata e non volevo più vivere, tutte le cose che avevo fatto e com’ ero erano solo fallimenti poi il brutto è che dopo qualche giorno oltre all’umore grigio o nero a seconda della giornata mi erano venuti i pensieri di suicidio. Tutto era inutile e la soluzione per me era solo quella di farla finita. Parlo della metà degli anni ’80:il mio medico di base a cui mi sono rivolta per prima mi disse che il problema ero io e avrei dovuto fare la psicanalisi; allora era quasi una moda anche per dimostrare il proprio status perché costa quanto uno stipendio. L’ho mandato a quel paese e mi sono rivolta ad una psichiatra: 7 mesi di dura lotta con l’umore a terra con solo voglia di starmene a letto, poi un giorno come magia ho cominciato a stare bene, con tanta energia e tante idee. Mi ero detta “Hai visto? Era solo una cosa momentanea?”. Andavo dicendo che era il mio momento magico. Andava tutto bene per altri 7 mesi, non avevo più né sonno né fame ma stavo da dio finché mi sono accorta che gli amici si erano allontanati, il mio lavoro da libero professionista finiva, le cose cominciavano a sfuggire poi i miei risparmi dove erano finit? Poi giù di nuovo in picchiata con tanti sensi di colpa oltre alla vergogna, ho preso tante scatole di ansiolitici che avevo accumulato di nascosto scolandomi mezza bottiglia di rhum: mi hanno fatto la lavanda gastrica e mi sono svegliata dopo 2 giorni di coma, volevo solo rimanere a letto e per tanti giorni non ho aperto la bocca.
La mia storia con il DB naturalmente non finisce così. Ho fatto la vita da zombie con la depressione maggiore sempre con i pensieri suicidi con intervalli di 2 fasi maniacali che le manifestazioni diventavano sempre peggio anche con le voci e i deliri oltre alle allucinazioni per 5 anni da quando mi sono diagnosticata da sola perché mi sono trovata nell’enciclopedia medica esattamente i miei comportamenti maniacali. Poi un miracolo solo cambiando l’antidepressivo con un neurolettico ho cominciato a stare bene ed ero tornata come prima della malattia in poche settimane anche se le cose che ho perso erano tante. Dopo sono stata bene per 10 anni solo con il litio, poi altre 2 ricadute 1 mania e 1 depressione ma di poca durata e oggi sono ben stabile, il mio umore non vacilla più da ben 15 anni. Ho capito che nel mio caso è un problema chimico per cui prenderò i farmaci a vita. Certo ci sono anche effetti collaterali ma convivibile e prendi il male minore,,la prima cosa: eutimia e poi faccio una vita sana e regolare ma sapendo che è una malattia cronica non abbasso mai la guardia.
Mi dedico da oltre 10 anni con auto mutuo aiuto virtuale e reale per le persone che hanno la mia stessa patologia. Ho letto e conosciuto tanti bipolari e anche se io mi sento fortunata che in 35 anni di malattia sono stata male 5 anni e 7 mesi in totale.. mentre ci sono tanti giovani che stanno male da tanti tanti anni.
Io urlo sempre che avere questa malattia è una disgrazia, ma come le altre disgrazie dobbiamo darci da fare …per noi bipolari cura farmacologica e la vita adeguata alla patologia.
Poi non è vero che i bipolari sono tutti creativi o altro bla bla bla: durante la mania idee veloci sì che ci fanno sembrare creativi ma in realtà non lo siamo, tutto sfugge e non ci rimane nulla alla fine. Io sono nata dai genitori artisti e scrittori, sono cresciuta nel mondo dell’arte ma io non ne sarei capace di dipingere oltre che non mi sono mai sognata di diventare un’artista o una scrittrice, sono nata con i piedi per terra. Chi è creativo lo è a prescindere dalla malattia.
Purtroppo c’è ancora molta ignoranza anche tra i medici e gli infermieri che non conoscono la psichiatria. Lo stigma è ancora tanto oltre la moda da dire “Siamo tutti un po’ bipolari” cosa che non è affatto la verità. È una vera patologia per cui la persona vive un inferno della mente e spero un giorno che la gente cominci a pensare che anche il nostro cervello fa parte di nostri organi, non è una cosa distaccata e si può ammalare come altri organi e come se fosse un fenomeno normale”
È pur vero che ci sono bipolari che hanno un surplus di intelligenza “congelata” dai sintomi della malattia, ma in tanti altri casi non è così, anzi, la scarsa consapevolezza può arrecare ulteriore danni per se stessi e per gli altri.
Quella di Erika è una storia di sofferenza a lieto fine, come ce ne sono altre, ma non è così per tutti: la cosa più difficile da combattere è lo stigma sociale. Si parla ancora poco sui media di una malattia che demolisce il modo d’essere di chi ne è affetto, che, oltre alla sofferenza interiore deve pagare lo scotto dell’indifferenza, della derisione, dell’ incomprensione, dell’obliante desiderio di scomparire. In una società che corre veloce, depresso-fobica, contaminata dall’apparenza.
La sfida da combattere si chiama stigma. Chi era costui? Viene naturale rievocare il «Carneade! Chi era costui» di Don Abbondio dinanzi a questa parola così oscura che anche tanti acculturati non capiscono. E che viene sempre abbinata ai discorsi sulle malattie mentali che di tutto avrebbero bisogno, fuorché di oscurità tanti sono i pregiudizi che su di esse gravano. Stigma significa marchio, etichettatura (negativa). Si dice e si scrive che per le malattie psichiatriche bisogna combattere lo stigma che le avvolge e che pesa sui malati. È la condanna sociale, la colpevolizzazione, il sostenere che questi disturbi non hanno rimedio e sono pericolose, e, per chi soffre di questi disturbi come spesso per le loro famiglie significa vergogna, senso di colpa, necessità di isolarsi. O sparire. (Fonte Fondazione Veronesi)
“Dovremmo imparare dalla neve a entrare nella vita degli altri con quella grazia e quella capacità di stendere un velo di bellezza sulle cose”, scrive Don Cristiano Mauri.
Non è facile trovare la cura giusta, servono mesi e anni. Ognuno risponde ai farmaci a modo suo, non esiste una terapia standard così come in altri campi della medicina. Sopportazione e pazienza sono il mantra dei medici. Le ripercussioni metaboliche sono talvolta evidenti come è capitato a Francesca.
“Un terremoto biologico” come quello capitato a Francesca, palermitana: “ Sono tranquilla, va tutto bene e poi arrivano angoscia e disperazione, comincio a piangere e mi si spezza il cuore. A volte piango giorni di seguito e non trovo pace, ogni volta la ripresa è sempre più difficile, mi sento vinta, sempre. Senza farmaci non posso stare e con i farmaci sono ingrassata 20 kg, mi sento orrenda, lo sono e non mi accetto. È difficile muoversi tra la gente e dover fingere di stare bene, perché i malati di mente sono gli ultimi tra i malati. Tutti ti giudicano debole, dipende tutto dalla tua volontà, secondo loro.
Il letto diventa una rassicurante prigione, le relazioni sociali si dileguano: non sei adatto per la società, l’eclissi morale, sociale e fisica è l’unico viadotto per restare in equilibrio.
C’è chi non ne può più: la morte si preferisce ad un’esistenza precaria. C’è chi le prova tutte perchè magari viene definito resistente ai farmaci e allora prova la roulette russa della Tec, la terapia elettroconvulsiva, scosse elettriche al cervello in anestesia generale. Talvolta funziona, altre peggiora il quadro. O si ricorre all’ultima “trovata” della farmacologia, l’esketamina: inalazioni di un composto che chi l’ha provato lo trova ottundente e di scarsa efficacia terapeutica.
Un calvario infinito a cui si è sottoposto Marcello, ex impiegato di Bergamo: “Ho fatto più di 15 Tec e ora sto inalando esketamina in ospedale, ma i risultati sono nulli. Ho sempre quel magone soffocante che mi sta uccidendo piano piano”.
La farmacologia ne ha di strada da fare per questa patologia. I rimedi a disposizione spesso non funzionano.
Il problema è oneroso moralmente anche per chi assiste questi pazienti, spesso le strutture esistenti non sono sufficienti a gestire le complicanze di questa “sindrome”, come afferma Isabella di Roma: “La si può chiamare sindrome perché forse la parola “malattia” spaventa. Non cambia il risultato: é altamente invalidante per chi ne soffre e anche per chi vive accanto ad una persona che ne é affetta é un serio problema, perché sia le famiglie che i malati sono lasciati troppo a sé stessi, dalla società e dai centri adibiti alla “cura”. Il pregiudizio vive latente accanto al malato psichiatrico e spesso anche i familiari non riescono ad accettare la gravità di quello che i loro parenti stretti hanno. Mancano informazioni, gruppi di sostegno, aiuti concreti. I CSM, le cliniche psichiatriche, gli SPDC costituiscono momentanee soluzioni ad un problema che invece necessiterebbe la presa in carico del malato e il seguirlo nel percorso dell’accettazione di quello che ha e nella consapevolezza anche dei familiari.”
Isabella pone un accento importante sul ruolo della famiglia: non è facile aver a che fare con un bipolare, il divario d’intesa è ampio, servirebbe un corso di comportamento per chi ha in casa pazienti bipolari. Ma poche strutture sono attrezzate a farli.
I bipolari non sono pazzi, ma semplicemente hanno una sensibilità diversa, chimicamente deviata. Hanno una notevole capacità di ragionamento e di insight.
Scrive Daniele, giovane veterinario barese: “Vorrei partire dalla mia più grande inquietudine: non sapere chi sono. Non capire se quello che faccio è dovuto alla malattia o ad altro. Quando si è nella fase down, è facile: non si ha voglia di far nulla, ci si rende conto di non stare bene. Quando invece si vivono fasi positive, è davvero difficile per chi vi è dentro capire se si è equilibrati oppure se è la mania a guidarti. Vi è sempre la stretta necessità che vi sia un osservatore esterno, possibilmente più scevro possibile da concetti quali “ah vabbè è stato male sin’ora, è ovvio che abbia voglia di fare tante cose”. È valido anche l’opposto, tuttavia. Quando si attraversano fasi d’equilibrio, basta una parolaccia a farsi additare come “pazzo”.
Sulla scia è Jlienia: “Io vorrei conoscere la vera me. Sento che non è mai uscita fuori e probabilmente non lo farà mai. Non mi vergogno di comportarmi in modo strano. Non mi vergogno di fare eccessivamente del bene. Non mi vergogno di essere a letto per giorni piangendo con la voglia improvvisa di morire. Mi vergogno però del male che faccio, seppur inconsapevolmente. Non me lo perdono. Cercavo l’equilibrio sul mio filo ma ormai ho imparato a saltarci sopra, aggrapparmi sotto, dondolare. Non mi sento padrona della mia vita, ho il terrore del mio cambio d’umore che può avvenire in qualsiasi momento. Per me in fase depressiva non c’è differenza tra giorno e notte, freddo e caldo, vita e morte. In fase up è lo stesso, solo che riesco a godermi anche la paura di morire, mi sento immortale e in me, o in quella che in teoria sono, non ci voglio più tornare.”
Non si saprà mai se si arriverà ad una cura rapida ed efficace per questa malattia; gli psichiatri non hanno mezzi diagnostici e si muovono per esperienza e tentativi. Spesso c’è un punto di svolta e la cura dona una vita dignitosa.
Dignità è la parola-chiave per una malattia cronica che condizionerà a vita chi ne è affetto. Si può migliorare, si può sperare, si può tornare a vedere il cielo più sereno gettando il cuore oltre l’ostacolo. L’eutimia, l’umore in equilibrio, non è sempre un miraggio.
Affidarsi “è la magia”, sostiene il primario psichiatra del Centro Hermitage di Capodimonte (Na) e scrittore: “Vedi cara, certe volte sono in cielo come un aquilone al vento, che poi a terra ricadrà”. Prendo in presto le parole di Guccini per provare pallidamente a spiegare cos’è il disturbo bipolare. Anzi no, non cos’è, perché quello lo si trova nei libri: cosa si prova. E so bene che cosa si provi non ve lo posso spiegare, ma soltanto illustrare dall’esterno come farebbe un ritrattista. Il disturbo bipolare non è un carattere stravagante o incostante, eccentrico, smodato e, allo stesso tempo, riflessivo, chiuso ed introspettivo. Non si è bipolari, ma si è affetti dal disturbo bipolare. È come la febbre, che ci fa stare male ma non si identifica con noi. Ma, a differenza della febbre, riguarda il nostro sentire, il nostro pensare, il nostro comportarci. Si prende le nostre idee, i nostri sentimenti, la nostra forza, e c’è li restituisce opposti dopo averne abusato. Non c’è colpa o merito, punizione o premio: non diamo ad esso dignità di “demone”. No, non voglio minimizzare, tutt’altro: la sofferenza ha una sua intrinseca dignità. Voglio solo dire che i demoni attengono alla religione ed alla magia, mentre il disturbo bipolare è oggetto di scienza. Il mio incantesimo si scrive sulla carta intestata, e lo recito in psicoterapia. Così, quello stare stabile, che al mio paziente sembra una vera magia, per me è solo il risultato atteso. Io lo so. Per quanto difficile possa sembrare, tutto si può affrontare se ci si affida. Ecco, forse affidarsi è la vera magia”
Ma non è facile “affidarsi” quando la rassegnazione diventa una virtù, e i sentimenti opachi ricordi, la bruma della rabbia mette in discussione l’utilità della propria esistenza. Ma non bisogna arrendersi mai, un raggio di sole dopo la tempesta è possibile.
La voce del fiume
zampilla
m’incanta
s’increspa
ed altro
il fiume che canta
si porta con sè una voce supina
il fiume che corre
è un angelo battello senza remi
Nella pietra scava la sua forma
nelle rami strappa le sue vesti
…e corre e corre
e la voce del fiume
adorna di pace e di quiete
la natura imbarazzata di selvaggio
Manuela Prosperi (poetessa, bipolare “a lieto fine”)