Chi fa il magistrato non può fare, allo stesso tempo, la politica. È una scelta di civiltà, è una antica battaglia di molti. Di quelli che hanno scelto, ad esempio, Forza Italia, di quelli che, all’inizio degli anni novanta, scelsero le libertà quando altri tifano per le Procure. È la scelta di chi si è battuto per la separazione delle carriere, più in generale per una riforma vera della Giustizia, e di chi ha ha sempre osteggiato la politicizzazione della magistratura. È attualità.
Ed allora bisogna dire qualcosa sul caso Maresca. Non per polemizzare su una persona, ci mancherebbe, ma per favorire una riflessione più ampia e nella speranza di consegnare un esempio.
Catello Maresca, è il caso di questi giorni, torna a fare il magistrato ma senza lasciare la politica. Eletto al Consiglio comunale di Napoli, e terminata l’aspettativa che aveva chiesto e ottenuto per potersi candidare, ha chiesto al Csm di rientrare in servizio.
È arrivato il via libera, divisino e che ha lasciato fratture a Palazzo dei Marescialli, ed ora farà il consigliere alla Corte d’appello di Campobasso. Una destinazione indovinata, fra l’altro, da lui.
Non è il massimo, anzi non si può. La legge, sia chiaro, lo consente. L’opportunità no.
Maresca, allora, dia un esempio. Ha le qualità per farlo. Lasci gli incarichi ‘operativi’, chieda (sarà possibile) un ruolo più amministrativo, di ufficio si sarebbe detto una volta. Si faccia promotore, lui, di una scelta diversa capace di avviare nel Paese un dibattito nuovo sui rapporti fra magistratura e politica.
Ora è un consigliere comunale, ha scelto il campo del centrodestra, ogni decisone ha una lettura politica.