Di Felice Massimo De Falco
Gli osservatori politici dicevano: “Il volto del Movimento 5 stelle verrà fuori quando governeranno”. Matteo Renzi, quando si stava costruendo il primo governo a trazione grillina, twittava: “Ora tocca a voi”, alludendo ad una considerazione:”I grillini scompariranno quando governeranno”. E mai più profezia fu più azzeccata. Entrati nelle stanze del potere, sorvolando sugli attoniti e rocamboleschi cambi di opinione su tutto e sulle uscite farneticanti dei loro componenti più in vista, i grillini sono vorticosamente caduti in un guado profondo, che oggi li vede irrilevanti nelle dinamiche politiche ferventi degli ultimi tempi, se non per qualche dichiarazione vacua del nuovo capo Giuseppe Conte.
Dopo il determinismo folcloristico di Grillo, Conte, col suo aplomb ordinato, non ha lasciato tra i suoi la scia frizzante da fargli avere seguito. Qualche previdente glielo aveva detto: “Una cosa è il consenso istituzionale, un altro quello elettorale”. Ma evidentemente l’ex premierato l’ha indotto a facili deduzioni: “I sondaggi mi acclamano”. Falso. E torniamo al discorso di prima: governare un Paese è molto differente dal gestire un partito. C’è bisogno di avere una visione politica, gestire i rapporti interpersonali coi propri parlamentari, indicare loro cosa fare in Parlamento, contrattare le dissidenze, promuovere l’interesse dei cittadini con una navicella in mare aperto. Conte finora lo ha fatto poco e male, è un timoniere lasciato al suo destino.
La riappacificazione apparente con Grillo (Conte è inadeguato) ha lasciato evidenti segni fra i fedelissimi del comico genovese. I suoi non lo seguono. L’ennesimo pasticcio si è consumato l’altro giorno. Nella Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari di Palazzo Madama andava in scena un voto sull’arcinemico Matteo Renzi. L’oggetto del contendere era la proposta di Forza Italia di sollevare un conflitto di attribuzione contro l’acquisizione, da parte dei pm fiorentini che indagano sul caso Open, delle chat e delle mail del leader di Italia viva.
Un voto che in altri tempi sarebbe scivolato liscio nel mondo pentastellato, che avrebbe sonoramente bocciato la richiesta senza pensarci due volte. E invece, a sorpresa, i componenti 5 stelle della Giunta hanno seguito i colleghi del Pd: astensione. Una presa di posizione che ha dato il disco verde alle richieste dell’odiato senatore di Rignano grazie ai voti del centrodestra.
Il telefono di Conte a quel punto è iniziato ad impazzire: “Ma cosa diamine stiamo facendo?”, il tenore dei messaggi che ha ricevuto nei minuti successivi alla votazione. Il via libera definitivo, secondo i regolamenti del Senato, deve essere dato dall’aula, “e in quella sede voteremo contro”, ha provato a metterci una pezza il capo politico.
Chi lo ha sentito nelle ultime ore lo descrive furente per non essere stato consultato. Palazzo Madama, considerato un fortino fino a qualche settimana fa, è caduto sotto i colpi dei franchi tiratori, che hanno impallinato il suo candidato a capogruppo Ettore Licheri al quale è stata preferita Mariolina Castellone, considerata vicina a Di Maio. Ma nessuno nell’entourage del presidente poteva immaginarsi una situazione del genere. Dopo il voto l’entourage dell’ex premier ha iniziato a criticare nelle chat comuni i colleghi, che si sono difesi a spada tratta: “Parlate di cose che non conoscete, non veniteci a dare lezioni”.
E così il professore pugliese è andato oggi a Montecitorio e a Palazzo Madama per vedere peones, blandirli, stringere mani, confrontarsi su attività parlamentari e difficoltà, “incontri già in programma”, spiegano, diventati ancor più necessari dopo l’ennesimo pasticcio.
Questo episodio fa barcollare Letta,non più convinto di poter contare sui voti dei grillini al Colle. Come infatti si prospetta un grande corte di franchi tiratori tra i pentastellati. Una cosa del genere metterebbe a repentaglio l’alleanza tra Pd e 5 stelle. Letta sembra più certo che questo consorzio sia perdente. Tra l’altro col crollo dei loro consensi, il Movimento rappresenterebbe una zavorra e non una risorsa nell’obiettivo del segretario dem di rifare l’Ulivo.
Non c’è una strategia comune. La sensazione è che Conte voglia andare al voto nel 2022 e fare del Movimento una zattera di sommersi e di salvati, fregandosene della regola del secondo mandato. Un movimento “contiano” con uomini fidati che finalmente gli diano retta