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15 Novembre 2024

Chi siamo

“Quello che gli adulti non sanno dei giovani”

di Anna Adamo

Li ho sentiti parlare. 

E li ho letti tutti i post di coloro i quali dicono che i giovani abbiano avvertito più di chiunque altro gli effetti della pandemia.

L’ho fatto per curiosità. 

La curiosità di una giovane donna che vuole capire quale piega abbia preso la generazione a cui appartiene da quando il Covid-19 è entrato a far parte delle nostre vite.

Ebbene si, pur appartenendo a questa generazione, io cosa cerchino i giovani non l’ho mica capito.

E allora, mi sono servita delle parole altrui per capire cosa ci stia accadendo.

No. La risposta alla mia domanda non l’ho comunque trovata.

Una cosa, però, l’ho capita.

Ho capito che quando c’è di mezzo la parola ‘Giovani’, dire non fa mai rima con fare.

Ho capito che sentenziare é la parola d’ordine. Neanche fossero tutti avvocati! 

Avvocati di cause perse in partenza, ovviamente!

Perché, si, è facile dire che i giovani siano fragili, disorientati e privi di prospettive future, per poi elogiarli quando corrono a vaccinarsi, dimostrando di avere un senso di responsabilità maggiore di quello di qualche adulto.

Un elogio che, sia chiaro, dura quanto un gatto in tangenziale.

Perché, poi, i giovani sono e resteranno sempre “quelli che tutto il giorno hanno il cellulare in mano”.

Ed è vero. Il cellulare in mano lo abbiamo costantemente,o quasi, poiché ci sono sempre le dovute eccezioni che confermano le regole.

Il problema, però, non è questo.

È che nessuno si chiede cosa ci spinga a tenerlo sempre in mano,quel cellulare.

Eppure,se qualcuno lo chiedesse,da dire avremmo tanto. 

Ed io, nonostante non ve lo chiediate, voglio spiegarvelo. O almeno provarci.

Quello che vedete nelle nostre mani è molto più di un cellulare. 

È la parte più intima e vera di noi. 

Quella che non possiamo condividere con nessuno. 

È proprio lì, in quei cellulari, che trovano rifugio le nostre speranze, le nostre delusioni e le nostre, seppur piccole, conquiste. 

É lì che nascondiamo i voti degli esami, soprattutto quelli andati male.

È lì che nascondiamo parole e lacrime di un cuore spezzato.

È lì che nascondiamo tutto. Tutto quello che non possiamo dire, perché se lo dicessimo, finirebbe per diventare oggetto del massimo grado di giudizio.

Il vostro giudizio,cari adulti che,non so per quale assurdo motivo, sembra abbiate dimenticato di essere stati anche voi giovani. 

In un’ epoca diversa, con modi di agire diversi, questo è certo. Ma, è certo anche che siate stati sempre e comunque giovani.

Giovani con il desiderio di essere ascoltati e, a volte, anche compresi.

E qui risiede la mia rabbia nei vostri confronti. 

Non posso non chiedermi per quale motivo, avendo avuto anche voi la nostra età, non proviate ad ascoltarci.

Del resto, quello che vogliamo, quello che cerchiamo di farvi capire attraverso quei cellulari che stringiamo tra le mani, è che abbiamo solo bisogno di essere ascoltati senza, però, essere giudicati. 

Perché, sapete, il giudizio e il confronto con gli altri è proprio ciò che più ci ferisce.

Ecco di cosa abbiamo bisogno. 

Ecco la verità. 

Quel cellulare, non fa altro che riempire il tempo speso ad aspettare invano qualcuno che ci venga a salvare.

Che sia rifugio di tutte le parole non dette, delle passeggiate non fatte e dei gesti non compiuti.

Questi siamo noi. Questi sono i giovani per i cui comportamenti é giunta l’ora di smetterla di incolpare la pandemia, i social e i cellulari. 

La vera colpa, purtroppo, è solo di chi nei nostri occhi vede il mondo e non prova scoprirlo.

Avete capito bene, noi questi cellulari li vogliamo posare, ma solo a patto che voi smettiate di farci sopravvivere e iniziate a farci vivere per davvero, conferendoci lo spazio e le opportunità che meritiamo, tenendo, possibilmente, a freno la lingua sul nostro operato.

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