di Donato D’Aiuto
C’è una cosa che non smette mai di stupirmi ed è che noi italiani per “essere”, per esistere, abbiamo bisogno di essere “anti” qualcosa o qualcuno.
È così in ogni ambito, se ci pensate. Basti pensare al calcio: non ci accontentiamo di tifare per la nostra squadra del cuore, ma realizziamo pienamente la nostra soddisfazione di tifosi accaniti soltanto tifando anche “contro” qualche altra squadra.
Pensate che addirittura c’è chi è anti-vegano. Attenzione, non è un onnivoro, è proprio chi passa del tempo a convincere un vegano che sta sbagliando ad esserlo.
E così ci siamo sorbiti per anni la retorica della costruzione di nuovi agglomerati politici “anti-fascisti” e “anti-comunisti” che, per l’appunto, hanno saputo benissimo stato “contro” qualcuno senza mai costruire realmente qualcosa.
Abbiamo così assistito – con la nostra colpevole complicità – alla diffusione delle ideologie del nulla, capaci di sottolineare cosa “non bisogna essere” ma mai realmente in grado di affermare “cosa si è”, “come si intende realizzarsi” e quale strada percorrere.
Il Paese dell’anti ha, ad esempio, anche prodotto i fenomeni politici dell’anti-casta, prima di diventare essi stessi casta rendendosi conto – o forse ancora no – che la casta (ammesso che esista ed ammesso che sia qualcosa da combattere) si combatte con le idee e non con gli slogan.
Vi starete chiedendo in che modo voglio concludere questo sproloquio dell’”anti-anti”. Ve lo dico subito.
Chi sa cosa “non è” ma non sa cosa, invece, “è” trova molta più difficoltà a trovare un punto di contatto con gli altri e, quindi, a raggiungere un accordo condiviso per il bene comune.
L’incapacità di dialogo nella mediazione politica per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica è soltanto il risultato finale di un costante indebolimento della Politica intesa come arte nobile. Non dobbiamo esserne stupiti. Siamo complici di tutto questo baccano. Siamo stati noi ad affidare il Paese ai politici dell’anti.
Assistiamo oggi. Ricordiamocene domani.