di Anna Adamo
Non so come si faccia ad entrare nelle vite altrui. E non so neanche se il modo che io utilizzo per farlo sia quello giusto.
Del resto, capire certe cose quando non ci toccano in prima persona è piuttosto difficile, soprattutto se hanno a che fare con la sofferenza. Tra tutte queste incertezze, però, un’ unica certezza ce l’ho.
La sofferenza è qualcosa che ci accomuna.
Nessuno ne è immune, purtroppo.
Quello che oggi accade ad una persona qualunque, domani potrebbe accadere a noi, o viceversa. Ed è da questa consapevolezza che dovremmo partire per riuscire a restare umani.
Umani capaci di restare in silenzio ed aiutare, quando le proprie vite si intersecano con quelle altrui.
E dico dovremmo, perché la verità è che non ci riusciamo mai.La verità è che ci risulta più facile puntare il dito, invece di tenderla, una mano.
Lo si evince dai commenti rivolti a Gianluca Grignani. Quelli che tutti, chi più chi meno, indossando il bel vestito da leoni da tastiera, hanno scritto. Quelli che tutti noi abbiamo letto e, con molte probabilità, condiviso. Perché, che le condizioni di Grignani sul palco dell’Ariston non fossero ottimali, lo abbiamo visto tutti. Lo vediamo e lo sappiamo da un po’, in realtà.
Eppure, la lingua non ce la mordiamo mai.
Come se, la condizione di quest’uomo vittima prima di sé stesso e poi degli altri, prendesse il sopravvento sul suo essere, da sempre, un grande artista.
Come se esprimere dei commenti senza conoscere il perché di certe condizioni e della sofferenza che una persona può provare, ci rendesse migliori, quasi paragonabili ad esseri dai poteri soprannaturali. Come se avessimo dimenticato che la sofferenza, prima o poi, tocchi tutti. Come se aiutare costasse chissà quanto. No, aiutare non costa tanto,ma ci conferisce tanto.
Tanta gioia, tanto amore, tanto affetto.
Tante, forse anche tutte, le cose di cui abbiamo bisogno per restare umani che, verso la sofferenza altrui, invece di puntarvi il dito, vi tendono una mano.