di Antonluca Cuoco
Veniamo da un biennio duro di pandemia, il covid ha rivoluzionato molto delle nostre vite: sia in ambito lavorativo che familiare. La consapevolezza che nulla può essere dato per scontato forse è cresciuta così come la fondamentale lezione per cui il rischio zero non esista è stata magari meglio appresa.
Tra gli impatti che il Covid ha avuto nelle nostre città, c’è anche quello che hanno patito i senza dimora ed i più fragili: il virus ha cambiato anche l’accesso ai dormitori per i senzatetto, riducendone i posti e condizionandone il flusso quotidiano.
Come aiutare chi non ha un tetto sulla testa è ciò che motiva da quasi tre anni l’associazione salernitana “La Brigata – unità di strada” che non è solo impegnata a portare a queste persone un pasto e una bevanda ma è determinata a offrire un servizio di assistenza ai senza fissa dimora, anche con raccolte fondi e banchetti cittadini.
Che ‘bilancio’ potete fare di questi anni?
Sono stati due anni molto intensi, ma ricchi di belle sorprese, nei quali siamo riusciti a conoscere in prima persona la solidarietà e la disponibilità di una Salerno che non ci aspettavamo. Come ci piace raccontare ogni volta che ci presentiamo a qualcuno, la realtà della Brigata è nata quasi per caso due anni fa. In particolare quando, in mancanza di un gruppo di volontari che distribuisse di sabato sera beni di prima necessità ai senza fissa dimora, molti di noi risposero ad un semplice appello fatto sui social che, dal nulla, ci ha resi un gruppo, unito da questa causa. Da quel momento non ci siamo fermati, siamo cresciuti e, anno dopo anno, abbiamo sentito l’esigenza di fare sempre di più, coniugando la nostra vita di studentesse e studenti , di lavoratrici e lavoratori con questa esperienza profondamente intima che ci ha arricchito e ci ha resi più coscienti del dilemma delle povertà e delle fragilità. Anche questo è un grande aspetto della nostra esperienza che non diamo mai per scontato.
La Brigata si associa e accoglie l’appello lanciato dalla comunità di Sant’Egidio all’amministrazione per la cura delle fragilità estreme che vivono tra le strade cittadine.
Quanto si riesce a fare rete nelle varie città campane ed italiane?
Crediamo fortemente che la cooperazione e la creazione di una rete comunicativa con le altre realtà che operano sul territorio sia fondamentale. Ed usiamo anche la nostra pagina a tale scopo Qui la pagina Fb.
Collaborare con associazioni più longeve e solide della nostra ha aiutato la Brigata a raggiungere un knowhow di base ben saldo che, altrimenti, difficilmente avremmo raggiunto in tempi così brevi per dei giovanissimi come noi. Non amiamo l’isolazionismo ma ci piace la cooperazione, il mutualismo sociale che abbiamo avuto modo di apprezzare al massimo proprio durante la prima chiusura emergenziale quando, nella struttura del Palatulimieri, è nata una tra le esperienze più ammirevoli che questa città abbia mai conosciuto, un luogo che ospita circa trenta senza fissa dimora ed è autonomamente gestito, seppur solo durante il primo lockdown, da più associazioni attive nella lotta alla povertà. Purtroppo ad oggi non abbiamo una rete nazionale con cui interfacciarci ma sarebbe bello, in un’ottica futura, poter raccontare la nostra realtà altrove per permettere anche ad altri attori di replicare la nostra esperienza con storie ed esigenze diverse.
Le nostre città europee sono il sogno per chi scappa da guerre e carestie; ci sono paesi dove vivere in democrazie liberali è vietato e dove mangiare ogni giorno è utopia. Voi avete avuto modo di incontrare alcune persone straniere che sono arrivate a Salerno dopo viaggi e difficoltà estreme. Che lezione offrono alle nostre comunità?
Salerno è sempre stata un nodo di incontri importante, un luogo di partenze e ritorni per tante persone, straniere e non. Alcune tra queste hanno abitato solo fugacemente la nostra città e altre, più sfortunate, si sono ritrovate a vivere in strada pur cercando in Salerno un’opportunità di vita migliore. La Brigata si è immersa in tante storie terribili, infelici e quasi surreali per chi ha avuto la fortuna di nascere nel posto giusto. Come gruppo, però, abbiamo avuto anche il privilegio di catturare negli occhi di quei narratori, a volte fugaci, la speranza di poterci riuscire ancora e di tornare ad appartenere a qualcosa o a qualcuno e non più solo a sè stessi. L’appello che come associazione lanciamo instancabilmente è quello di non dimenticare chi rimane indietro e resta fermo all’impasse, ma di guardare e ascoltare con attenzione e rispetto il vissuto di chi chiede aiuto e di chi non ha ancora il coraggio di farlo.