Di Felice Massimo De Falco
Numerose analisi hanno mostrato come uno dei fattori principali di disuguaglianza sia l’accesso all’istruzione. Si tratta infatti di un aspetto che più di altri tende a rendere maggiormente ereditaria la condizione socio-economica di partenza.
Un fenomeno da cui il nostro paese non è affatto esente. Nel contesto dei paesi europei l’Italia è uno degli stati dove restano più ampie le disuguaglianze sociali e l’istruzione in questa tendenza ha un ruolo di tutto rilievo.
In misura maggiore rispetto ad altri paesi europei infatti è forte la correlazione tra basso titolo di studio dei genitori e rischio abbandono precoce da parte dei figli. In media nei paesi Ocse nel 42% dei casi i figli di chi non ha il diploma non si diplomano a loro volta. Una quota che in Francia si attesta al 37% e in Germania scende al 32%, mentre nel nostro paese raggiunge il 64%.
Le implicazioni di questa tendenza sono fortemente negative. La dinamica per cui è proprio chi viene dalle famiglie più svantaggiate a lasciare la scuola prima del tempo è il fattore che rafforza, e rende ereditaria, una condizione di deprivazione. La povertà educativa è la condizione in cui un bambino o un adolescente si trova privato del diritto all’apprendimento in senso lato, dalle opportunità culturali e educative al diritto al gioco. Povertà economica e povertà educativa si alimentano a vicenda.
Restare indietro sul versante educativo ha infatti conseguenze su tutto il percorso di vita successivo. Un’evidenza che i nuovi dati pubblicati da Istat sui ritorni occupazionali dell’istruzione, ovvero la possibilità di accesso al mercato del lavoro, mostrano con chiarezza.
I dati tratti da un’indagine di Istat pubblicata nel dicembre scorso consentono di ricostruire come un livello di istruzione più elevato si associ a un maggiore occupabilità e viceversa.
In presenza di un titolo di studio terziario (come la laurea) il tasso di disoccupazione si attesta al 5,1% e quello di inattività al 14,8%. In mancanza del diploma, con un titolo di studio al massimo secondario inferiore, tali quote salgono rispettivamente al 11,9% e al 41,3%.
In media tra i 27 stati membri, la quota di occupati tra i giovani di 18-24 anni usciti precocemente dal sistema di istruzione e formazione è passata da 54,2% al 42,4%. Nel nostro paese il calo è stato ancora più netto. Se nel 2008 oltre la metà dei giovani italiani che avevano abbandonato la scuola era comunque occupato (51%), nel 2020 questa percentuale è scesa a circa uno su 3 (33,2%).
Solo in Spagna il calo è stato più marcato: oltre 23 punti dal 2008. Tuttavia è interessante osservare come tra i paesi presi in esame l’Italia sia quello dove nel 2020 il tasso di occupazione risulta più basso per chi è uscito dal sistema di istruzione e formazione.
Disaggregando questo dato per aree territoriali, si nota come questa tendenza sia particolarmente impattante nell’Italia meridionale. Nel mezzogiorno appena il 23,3% dei 18-24enni che hanno abbandonato la scuola e la formazione prima del tempo è occupato. Un dato in calo di quasi 12 punti rispetto al 2008.
I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa.