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18 Novembre 2024

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La giustizia sociale parte dalla scuola

Di Felice Massimo De Falco

Numerose analisi hanno mostrato come uno dei fattori principali di disuguaglianza sia l’accesso all’istruzione. Si tratta infatti di un aspetto che più di altri tende a rendere maggiormente ereditaria la condizione socio-economica di partenza.
Un fenomeno da cui il nostro paese non è affatto esente. Nel contesto dei paesi europei l’Italia è uno degli stati dove restano più ampie le disuguaglianze sociali e l’istruzione in questa tendenza ha un ruolo di tutto rilievo.

In misura maggiore rispetto ad altri paesi europei infatti è forte la correlazione tra basso titolo di studio dei genitori e rischio abbandono precoce da parte dei figli. In media nei paesi Ocse nel 42% dei casi i figli di chi non ha il diploma non si diplomano a loro volta. Una quota che in Francia si attesta al 37% e in Germania scende al 32%, mentre nel nostro paese raggiunge il 64%.

Le implicazioni di questa tendenza sono fortemente negative. La dinamica per cui è proprio chi viene dalle famiglie più svantaggiate a lasciare la scuola prima del tempo è il fattore che rafforza, e rende ereditaria, una condizione di deprivazione. La povertà educativa è la condizione in cui un bambino o un adolescente si trova privato del diritto all’apprendimento in senso lato, dalle opportunità culturali e educative al diritto al gioco. Povertà economica e povertà educativa si alimentano a vicenda.

Restare indietro sul versante educativo ha infatti conseguenze su tutto il percorso di vita successivo. Un’evidenza che i nuovi dati pubblicati da Istat sui ritorni occupazionali dell’istruzione, ovvero la possibilità di accesso al mercato del lavoro, mostrano con chiarezza.

I dati tratti da un’indagine di Istat pubblicata nel dicembre scorso consentono di ricostruire come un livello di istruzione più elevato si associ a un maggiore occupabilità e viceversa.
In presenza di un titolo di studio terziario (come la laurea) il tasso di disoccupazione si attesta al 5,1% e quello di inattività al 14,8%. In mancanza del diploma, con un titolo di studio al massimo secondario inferiore, tali quote salgono rispettivamente al 11,9% e al 41,3%.

In media tra i 27 stati membri, la quota di occupati tra i giovani di 18-24 anni usciti precocemente dal sistema di istruzione e formazione è passata da 54,2% al 42,4%. Nel nostro paese il calo è stato ancora più netto. Se nel 2008 oltre la metà dei giovani italiani che avevano abbandonato la scuola era comunque occupato (51%), nel 2020 questa percentuale è scesa a circa uno su 3 (33,2%).

Solo in Spagna il calo è stato più marcato: oltre 23 punti dal 2008. Tuttavia è interessante osservare come tra i paesi presi in esame l’Italia sia quello dove nel 2020 il tasso di occupazione risulta più basso per chi è uscito dal sistema di istruzione e formazione.
Disaggregando questo dato per aree territoriali, si nota come questa tendenza sia particolarmente impattante nell’Italia meridionale. Nel mezzogiorno appena il 23,3% dei 18-24enni che hanno abbandonato la scuola e la formazione prima del tempo è occupato. Un dato in calo di quasi 12 punti rispetto al 2008.

I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa.

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