Di Felice Massimo De Falco
Il pronto soccorso energetico potrebbe passare, temporaneamente, per le centrali a carbone. Quelle che nel 2025 dovrebbero essere spente in nome della transizione energetica. Nel frattempo, e in mezzo all’emergenza internazionale, le ultime sette centrali a carbone presenti in Italia e destinate allo spegnimento o conversione, potrebbero essere un’ancora di salvezza. Il tutto alla luce delle dichiarazioni del presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi che nell’informativa urgente alla Camera sulla crisi Ucraina e le possibili conseguenze delle sanzioni alla Russia ha detto che «potrebbe essere necessaria la riapertura delle centrali a carbone, per colmare eventuali mancanze nell’immediato».
Delle sette centrali cinque sono in capo all’Enel mentre le altre due fanno riferimento al gruppo Ep produzione e all’azienda A2a. Sette impianti distribuiti tra Sardegna, Lazio, Puglia, Liguria, Friuli Venezia Giulia e Veneto.
Delle cinque centrali Enel presenti sul territorio nazionale, l’unica spenta, è la centrale termoelettrica Eugenio Montale di La Spezia. Gli impianti per la produzione di energia dalla combustione del carbone (con una capacità di 682 mw) sono stati messi a riposo due mesi fa, a dicembre del 2021.
Nell’elenco delle centrali a carbone ci sono anche i due siti in cui è stata avviata una chiusura parziale di alcuni gruppi. Si tratta ella centrale “Andrea Palladio” di Fusina in Comune di Venezia con una capacità di 976 mw e della centrale termoelettrica Federico II di quella di Brindisi con capacità di 2640 MW installati, considerata tra le più grandi d’Europa e la seconda più grande d’Italia e per cui è in corso un progetto di riconversione.
Le altre due centrali in capo all’Enel sono invece pienamente operative. Nello specifico, nel Lazio, estesa su un’area di 975 mila metri quadrati c’è la Centrale Torrevaldaliga Nord, che funziona con un impianto termoelettrico alimentato a carbone e ha una capacità di 1980 mw. In Sardegna, sempre in capo all’Enel c’è la centrale Grazia Deledda di Portovesme, con una potenza di 480 mw.
In Sardegna poi c’è anche una seconda centrale a carbone, attualmente in funzione. Si tratta dell’impianto di Fiume Santo vicino a Porto Torres in cui Ep produzione si produce energia elettrica dall’utilizzo del carbone. Nella centrale sono attualmente in funzione due gruppi a carbone con una potenza netta di circa 600 mw. «L’impianto – scrive l’azienda sul sito – rappresenta una delle più importanti realtà produttive della Sardegna nord-occidentale».
A Monfalcone, in provincia di Gorizia la produzione di energia elettrica avviene nella centrale termoelettrica A2a. Il sito ha una potenza installata di 336 mw «con due sezioni termoelettriche convenzionali con potenza di 165 e 171 mw»
«Dieci anni fa in Italia producevamo in Italia 17 miliardi di metri cubi di gas, abbiamo rinunciato in favore di Russia e altri paesi e rinunciato a una politica industriale – commenta Maurizio De Pascale, presidente di Confindustria Sardegna – oggi, questa malaugurata, incredibile e inaccettabile guerra, ci ha messo di fronte alla realtà. E questo fa sì che si riparli di autonomia energetica dell’Italia». Da qui la soluzione: «È chiaro che la fase immediata deve passare per uno stress dei nostri giacimenti di gas siciliani e poi del carbone. D’altronde, mi risulta che anche in Germania si stia cercando di incrementare questa produzione proprio per fronteggiare l’emergenza».
E mentre il fronte ambientalista fa sentire la sua voce contro l’eventuale ritorno al carbone, c’è chi punta l’attenzione sulla necessità di diversificare. «Vista la congiuntura il presidente Draghi non poteva fare altrimenti – commenta Francesco Garau, segretario Filctem Sardegna -. Questo fatto però ci dà una certezza: che l’utopia di chi dice che bisogna andare solo con le rinnovabili si è rivelata un fallimento alla prima crisi. Questa esperienza insegna che è fondamentale diversificare le fonti energetiche, proprio per evitare di trovarsi nei guai».