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24 Dicembre 2024

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L’Odissea dei profughi ucraini: stanchi e bisognosi di cure. Il racconto

Di Felice Massimo De Falco

A pochi passi dalla lingua d’asfalto che demarca il confine tra Polonia e Ucraina, si intravedono le prime tende umanitarie pronte ad assistere i profughi scappati dai bombardamenti.

Siamo a Medyka, città cruciale per l’esodo ucraino scatenato dalla guerra con la Russia. Appesa ad una di queste tende, su un cartoncino, c’è scritto ‘medical aid’. È una tenda sanitaria, con il logo di Ssf, Saveurs sans frontiers. Al suo interno AGI incontra doc. Avery Hart, medico statunitense.
Alto, magro, attempato. Per lui è la prima esperienza da medico in un contesto così vicino alla guerra. Quando lo incrociamo in questa soleggiata ma fredda mattina di marzo, non ci sono pazienti da visitare e ci regala qualche minuto per raccontare il suo lavoro e chi, in queste settimane, si è rivolto a lui.
“Ieri, per esempio, abbiamo avuto una bambina che era rimasta in coda con la famiglia 5 ore per attraversare il confine. Faceva freddissimo ed è stata portata subito qui perché si temeva un’ipotermia – dice – un altro bambino ha vomitato 10 volte nelle ultime 12 ore”.

Hart spiega che nella tenda arrivano “molti adulti con malattie croniche che non hanno potuto seguire le terapie mediche a causa della fuga. Solo ieri si è rivolto a noi un uomo diabetico che proveniva da una città dove era diventato ormai impossibile trovare insulina. È rimasto senza per una settimana e questo gli ha provocato un forte sbalzo dei valori glicemici. Quando è arrivato qui, lo abbiamo curato e si è ripreso. Abbiamo avuto una donna con ipertensione e le abbiamo dato le medicine adatte per farle proseguire in sicurezza il viaggio”.
A rispondere alle esigenze sanitarie dei profughi che arrivano stremati in Polonia, ci sono 6 dottori, 3 infermiere e “molte altre persone che si danno da fare per far funzionare questo servizio volontariamente. Siamo tutti volontari qui”, racconta ancora il dottore.
L’associazione per cui opera ha altre due tende nel campo, con attrezzature sanitarie e farmaci. “Ci occupiamo anche dell’aspetto psicologico e ci sono assistenti sociali impegnate con noi – aggiunge – quel tipo di supporto è più efficace quando i profughi prendono il pullman e cominciano la loro nuova vita lontano da qui. Nella struttura in cui operano questi assistenti, c’è un’area dove i bambini possono passare il tempo e giocare, mentre la mamma può rifocillarsi con un caffè e avere un colloquio psicologico”.
Davanti alla tenda si presenta una coppia anziana. Vicino a loro un’altra signora sulla sedia a rotelle, avvolta in pesanti coperte. Una operatrice le tiene la mano. Lei abbozza un mezzo sorriso. “È stanca – dice doc Hart – lo sono tutti qui”.

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