di Massimo Ricciuti
Vi sono incastri magici. Le parole si mettono in ordine da sole. Disegnando scenari di senso inaspettati. Non voluti. Eppure terribilmente legati alla realtà. Cos’è la letteratura se non è capace di raccontare la realtà dell’umano divenire? Perde di senso rivelatorio e scivola nella cronaca. O nell’autobiografia. O nel “fantasy”. Invece è proprio la sua capacità di prevenire il reale e ricoprirlo di significato a far sì che taluni uomini siano in grado di percepire con le antenne gli accadimenti, che già attanagliano la nostra anima e risuonano in quel che abbiamo dentro, e mettere in file vocaboli fino a creare costruzioni di senso incredibilmente mostruose perché potentemente rivelatorie. Vogliamo segnalare due romanzi, in particolare. Due romanzi ambientati a Napoli. Entrambi scritti da giornalisti. Il primo è “Malacqua” di Nicola Pugliese, redattore del quotidiano il “Roma”, l’altro è “Epidemia” del giornalista Rai Felice Piemontese. Il primo elemento che attira la nostra attenzione è che i due romanzi hanno la stessa struttura diaristica. Una cronaca , giorno per giorno, attraverso un io narrante, del passaggio dalla normalità apparente a una situazione di catastrofe collettiva. Un’immensa sciagura. Probabilmente frutto di un equilibrio malato e precario. Sicuramente colpevole.
IL VIAGGIO
“Ed attraverso il vetro della finestra grigi pensieri fumiganti ad inseguire il mare, Santa Lucia ristretta nelle spalle, le mani in tasca, ad ascoltare il silenzio del suo silenzio, le raffiche del vento che veniva, e queste foglie ritorte nella strada, dentro l’asfalto. Dalla strada solitudine graziosamente se ne discende al mare, con gozzi malandati, luci sfrangiate, e navi in lontananza, Punta della Campanella, e Capri, la gran massa di Capri distesa a ricordare, estranea alla città come torre indecifrata, vicina, sì, quanto vicina, e lontanissima, pure, con storie scolorite d’imperatori e donne, con cargo tremolanti dell’Oriente e dell’Africa, e granaglie, carichi di mais, ferro, sabbia dorata”. Si apre così Malacqua, il romanzo che Pugliese, il suo unico romanzo, scrisse nel 1976 e che l’anno successivo fu pubblicato da Einaudi su spinta di Italo Calvino. Il libro non ebbe ristampe da allora. Per volontà stessa dell’autore. Malgrado le insistenze della casa editrice e di Calvino. Per moltissimi anni il romanzo ha circolato clandestinamente, in fotocopia, fra gli appassionati. E le pochissime copie disponibili (chi scrive ne ha una!), ormai veri e propri oggetti di culto, sono contesissime dai bibliofili. Malacquaè la cronaca di quattro giorni terribili di una pioggia strana, inquietante che inonda la città. Il maltempo non provoca soltanto crolli e frane. Nell’incertezza ostile. Della pioggia, ecco moltiplicarsi eventi inusitati, prendere corpo presagi e cupi ammonimenti. Un’immane sofferenza emerge dal sottosuolo mentre il diluvio piove dal cielo nero. In attesa di un “accadimento straordinario” (come recita il sottotitolo). Sveliamo che alla fine l’io narrante scopre l’arcano che si cela dietro il diluvio. Le ragioni di una riscoperta della vita. Una rinascita che avviene con la consapevolezza della propria esistenza come precarietà parte di un divenire appartenente alla natura. Ecco lo schiarire del cielo. L’affievolirsi della pioggia. Per arrivare a una serenità diversa. L’accettazione della nostra “stra-ordinarietà”.
Il romanzo fu poi ripubblicato da Pironti ed. nel 2013. Per il volere della famiglia. Poco dopo la morte dell’autore. Oggi, aprile 2022, viene ripubblicato per Bompiani in una curatissima e elegante versione e con una emozionante prefazione di Francesco Palmieri che ricostruisce ambientazione, luoghi, la redazione de Il Roma, l’atteggiamento di Pugliese e lo “spirito” di quel periodo. Straordinariamente attuale. Sempre. O “inattuale” perché senza tempo…
Nel 1989 Felice Piemontese dà alle stampe, coincidenza proprio con Pironti ed. “Epidemia”. Siamo nei giorni in cui crolla il Muro di Berlino. Finisce una “filosofia della Storia”. A Napoli una misteriosa malattia si diffonde rapidamente tra gli abitanti. Dopo l’incredulità e lo sbigottimento dei primi giorni, subentra poco a poco, tra la gente, una sorta di pigra assuefazione al male. E’ la passività rassegnata di chi preferisce non vedere i segni della catastrofe intorno a sé. E si abitua a accettare sia la malattia sia le disposizioni “emergenziali” (ricorda qualcosa?) per contenerla. Ma l’epidemia continua a diffondersi. E a fare vittime. Si insinua negli interstizi. Non dà scampo. Nessuna cura. Nessuna disposizione riesce a rallentarla. L’eccezione è costituita da chi, con lucidità assai prossima a una grandiosa follia, cerca comunque di sottrarsi a un destino che è sì quello segnato dalla malattia, ma che troviamo inscritto anche nei processi di degenerazione civile che stiamo vivendo e che l’epidemia ha soltanto accelerato. Il finale è ben diverso da quello di “Malaqua”. E anche da “La Peste” di Camus (cui trae evidente ispirazione). Ecco l’ultima pagina. “ 26 novembre. Enormi insetti, orribili, escono dalla tazza del cesso. Ho cercato di ricacciarli giù, ma non ci sono riuscito. Non ho mai visto niente di simile. E continuano a uscirne. Invadono tutta la casa. Ho sbagliato a tagliare i fili del telefono. Dovrei chiedere soccorso. Sapere se la stessa cosa sta succedendo altrove. Stanno arrivando anche qui, dove mi sono rifugiato sprangando la porta. Non so come fanno ad entrare. Si infilano dappertutto. Anche tra le mie carte. Dappertutto…”. There is no happy ending at al…