di Anna Adamo
Viene detto di continuo, ai giovani, di credere nei propri sogni, di combattere per realizzarli.
Viene detto loro di non paragonarsi agli altri, di camminare con lo sguardo dritto verso l’obiettivo, perché siamo tutti diversi, ognuno ha un tempo entro il quale fa le cose e chi si laurea con 110 e lode non è più bravo di chi si laurea con un voto più basso o viceversa.
Se sia giusto o sbagliato dire ai giovani queste cose, non si sa.
Una cosa, però, è certa, tra le tante cose che si dicono loro ce ne è una che si omette sempre. E no, non è affatto un ‘omissione casuale. Si tratta, purtroppo, di un’omissione volontaria dovuta al fatto che nessuno abbia il coraggio di dire che l’Italia non è un paese per giovani. Che piaccia o no, su dieci sono solo due i ragazzi che lavorano e solo uno tra i due svolge il lavoro per il quale ha studiato gran parte della vita, gli altri vivono con i genitori e trascorrono il tempo con lo sguardo fisso sui cellulari ad aspettare l’arrivo di un’occupazione.
Il tutto avviene tra l’indifferenza degli adulti, di coloro i quali, essendo vissuti in un’ epoca in cui fare spazio ai giovani era considerata priorità assoluta, fanno fatica ad adattarsi ai tempi che corrono e a comprendere quanto difficile sia per un giovane trovare al giorno d’oggi lavoro, perciò non fanno altro che ripetere che questi ultimi non abbiano voglia fare niente altro che non sia sbirciare sui social network quello che accade.
Dovrebbero, invece, sapere che in realtà i giovani un lavoro lo vogliono.
Se avessero un lavoro, probabilmente il cellulare neanche si preoccuperebbero di averlo.
Del resto, il cellulare non è altro che questo: un oggetto utile per riempire i vuoti lasciati da chi dei giovani dovrebbe preoccuparsi e occuparsi e invece fa tutt’altro. Da quei posti di lavoro di cui tanto si parla, ma non arrivano mai. Dalle ore trascorse a svolgere un lavoro il cui stipendio non corrisponde minimamente alle mansioni che una persona è chiamata a svolgere e alle competenze che quest’ultima possiede.
È evidente che l’Italia, i giovani e il lavoro siano come rette parallele che non si incontrano mai, ed è altrettanto evidente che dire che i giovani un lavoro debbano chiederlo, come da sempre accade quando si fa riferimento a questo aspetto, non è affatto giusto.
Mettersi in piazza ad urlare di aver bisogno di un lavoro non è così facile.
Poi, la verità, è che è stato fatto anche questo. Lo hanno sentito tutti, più o meno, eppure hanno fatto si che la soluzione più accreditata fosse fare orecchio da mercante.
E allora, qual è la cosa giusta da fare?
Invece di sparare a zero sulla vita dei giovani e far si che si sentano continuamente inferiori agli altri, perché vengono propositi loro modelli inarrivabili, sarebbe utile interrogarsi, mettersi in discussione, chiedersi se il reale problema è che l’Italia non è un paese per giovani o che non è tempo per essere giovani, visto che ci si ritrova a fare i conti o con un paese che non riesce a garantire a questi ultimi le opportunità ed il futuro che meritano.