Il balzo delle quotazioni delle materie prime alimentari a livello mondiale che sono aumentate del 23% nell’ultimo anno causa gravi carestie e fame nei paesi poveri e inflazione e aumento dell’indigenza alimentare in quelli ricchi. E’ quanto afferma la Coldiretti sulla base dell’indice Fao che a giugno 2022 ha raggiunto il valore di 154,2, in calo del 2,3% rispetto al mese precedente.
A tirare la volata – sottolinea la Coldiretti – sono i prezzi internazionali dei cereali cresciuti del 27,6% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, mentre i lattiero caseari salgono del 24,9%, lo zucchero aumenta dell’8,9%, la carne del 12,6% ed i grassi vegetali sono balzati addirittura del 34,3% rispetto all’anno scorso anche per il crollo delle spedizioni di semi di girasole dall’Ucraina che è un grande Paese esportatore e per la decisione dell’Indonesia di sospendere le esportazioni di olio di palma, di cui il Paese e il primo produttore mondiale. A pesare sull’andamento delle quotazioni sono gli effetti della guerra in Ucraina – rileva Coldiretti – ma anche le previsioni sul calo del raccolto di cereali Ue, che l’anno prossimo dovrebbe essere inferiore di oltre il 2% rispetto a quello di quest’anno a causa della siccità
A rischiare di più – continua la Coldiretti – sono 53 Paesi dove la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione e risentono quindi in maniera devastante dall’aumento dei prezzi. Per effetto degli aumenti legati al conflitto i prezzi di mais e del grano si collocano infatti sugli stessi livelli raggiunti negli anni delle drammatiche rivolte del pane che hanno coinvolto molti Paesi a partire dal nord Africa come Tunisia, Algeria ed Egitto.
La guerra coinvolge infatti gli scambi di Russia e Ucraina che rappresentano, sommate, poco più del 30% delle esportazioni mondiali di cereali, oltre il 16% di quelle di mais e oltre il 75% di quelle di olio di semi di girasole, secondo un’analisi del Centro Studi Divulga.
Una situazione che ha alimentato l’interesse sul mercato delle materie prime agricole della speculazione che – spiega la Coldiretti – si sposta dai mercati finanziari ai metalli preziosi come l’oro fino ai prodotti agricoli dove le quotazioni dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati “future” uno strumento su cui chiunque può investire acquistando e vendendo solo virtualmente il prodotto, a danno degli agricoltori e dei consumatori.
L’emergenza – rileva la Coldiretti – sta innescando un nuovo cortocircuito sul fronte delle materie prime anche nel settore agricolo nazionale che ha già sperimentato i guasti della volatilità dei listini in un Paese come l’Italia che è fortemente deficitaria in alcuni settori ed ha bisogno di un piano di potenziamento produttivo e di stoccaggio per le principali commodities, dal grano al mais fino all’atteso piano proteine nazionale per l’alimentazione degli animali in allevamento per recuperare competitività rispetto ai concorrenti stranieri.
L’Italia negli ultimi 25 anni ha perso ¼ della propria superficie coltivabile per colpa dell’insufficiente riconoscimento economico del lavoro in agricoltura. Il risultato è che l’Italia è obbligata ad importare il 62% del grano per il pane, il 35% di quello necessario per la pasta, ma anche il 46% del mais e il 73% della soia, fondamentali per l’alimentazione degli animali, secondo l’analisi del Centro Studi Divulga.
“Bisogna invertire la tendenza ed investire per rendere il Paese il più possibile autosufficiente per le risorse alimentari facendo tornare l’agricoltura centrale negli obiettivi nazionali ed europei” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “nell’immediato occorre salvare aziende e stalle da una insostenibile crisi finanziaria per poi investire per aumentare produzione e le rese dei terreni con bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità ma serve anche contrastare seriamente l’invasione della fauna selvatica che sta costringendo in molte zone interne all’abbandono nei terreni e sostenere la ricerca pubblica con l’innovazione tecnologica e le Nbt a supporto delle produzioni, della tutela della biodiversità e come strumento in risposta ai cambiamenti climatici.