Era il 2 Settembre del 1992, sono passati trenta anni, quando il deputato socialista Sergio Moroni si tolse la vita. Nel pieno della bufera di Tangentopoli, nella stagione del corto circuito mediatico e delle Procure militanti, scrisse una lettera drammatica a Giorgio Napolitano che era Presidente della Camera. ‘Quando la parola è flessibile, non resta che il gesto’ il drammatico epilogo di chi provava a suggerire alla politica ed alle Istituzioni di scegliere il garantismo, di abbandonare la spettacolarizzazione della Giustizia.
Le storture del sistema giudiziario che Moroni consegnava alla riflessione politica, trenta anni dopo, sono tutte drammaticamente attuali.
Nel pieno della campagna elettorale l’impertinente pubblica la lettera. Perché, ieri come oggi, i casi di mala giustizia sono ancora troppi. Perché la politica rifletta, perché trovi oggi il coraggio di muovere qualcosa.
Sia l’anniversario di un fatto così drammatico l’occasione per spendere alcune parole sul tema, per denunciare l’uso politico della giustizia, l’uso spregiudicato e disinvolto delle misure cautelari, sia l’occasione per rappresentare le idee per riformare il sistema, per assumere impegni.
Gaetano Amatruda
La lettera
Egregio Signor Presidente,
ho deciso di indirizzare a Lei alcune brevi considerazioni prima di lasciare il mio seggio in Parlamento compiendo l’atto conclusivo di porre fine alla mia vita.
E’ indubbio che stiamo vivendo mesi che segneranno un cambiamento radicale sul modo di essere nel nostro Paese, della sua democraazia, delle istituzioni che ne sono l’espressione. Al centro sta la crisi dei partiti (di tutti i partiti) che devono modificare sostanza e natura del loro ruolo. Eppure non è giusto che ciò avvenga attraverso un processo sommario e violento, per cui la ruota della fortuna assegna a singoli il compito di vittime sacrificali. Ricordo l’agghiacciante procedura delle «decimazioni» in uso presso alcuni eserciti, e per alcuni versi mi pare di ritrovarvi dei collegamenti. Né mi è estranea la convinzione che forze oscure coltivino disegni che nulla hanno a che fare con il rinnovamento e la «pulizia». Un grande velo di ipocrisia (condivisa da tutti) ha coperto per lunghi anni i modi di vita dei partiti e i loro sistemi di finanziamento. C’è una cultura tutta italiana nel definire regole e leggi che si sa non potranno essere rispettate, muovendo dalla tacita intesa che insieme si definiranno solidarietà nel costruire le procedure e i comportamenti che violano queste stesse regole.
Mi rendo conto che spesso non è facile la distinzione tra quanti hanno accettato di adeguarsi a procedure legalmente scorrette in una logica di partito e quanti invece ne hanno tatto strumento di interessi personali. Rimane comunque la necessità di distinguere, ancora prima sul piano morale che su quello legale. Né mi pare giusto che una vicenda tanto importante e delicata si consumi quotidianamente sulla base di cronache giornalistiche e televisive, a cui è consentito di distruggere immagine e dignità perso nale di uomini solo riportando dichiarazioni e affermazioni di altri. Mi rendo conto che esiste un diritto all’informazione, ma esistono anche i diritti delle persone e delle loro famiglie. A ciò si aggiunge la propensione allo ssciacallaggio di soggetti politici che, ricercando un utile meschino, dimenticano di essere stati per molti versi protagonisti di un sistema rispetto al quale oggi si ergono a censori. Non credo che questo nostro Paese costruirà il futuro che si merita coltivando un clima da «pogrom» nei confronti della classe politica, i cui limiti sono noti, ma che pure ha fatto dell’Italia uno dei Paesi più liberi dove i cittadini hanno potuto non solo esprimere le proprie idee, ma operare per realizzare positivamente le proprie capacità e competenze. lo ho iniziato giovanissimo, a soli 17 anni, la mia militanza politica nel Psi. Ricordo ancora con passione tante battaglie politiche e ideali, ma ho commesso un errore accettando il «sistema», ritenendo che ricevere contributi e sostegni per il Partito si giustificasse in un contesto dove questo era prassi comune, né mi è mai accaduto di chiedere e tanto meno pretendere. Mai e poi mai ho pattuito tangenti, né ho operato direttamente o indirettamente perché procedure amministrative seguissero percorsi impropri e scorretti, che risultassero in contraddizione con l’interesse collettivo. Eppure oggi vengo coinvolto nel cosiddetto scandalo tangenti, accomunato nella definizione di «ladro» oggi così diffusa. Non lo accetto, nella serena coscienza di non avere mai personalmente approfittato di una lira. Ma quando la parola è flessibile, non resta che il gesto. Mi auguro solo che questo possa contribuire a una riflessione più serie e più giusta, a scelte e decisioni di una democrazia matura che deve tutelarsi. Mi auguro soprattutto che possa servire a evitare che altri nelle mie stesse condizioni abbiano a patire le sofferenze morali che ho vissuto in queste settimane, a evitare processi sommari (in piazza o in televisione) che trasformano un’informazione di garanzia in una preventiva sentenza di condanna. Con stima.
Sergio Moroni