di Angelo Giubileo
Con un pizzico di orgoglio personale, che sarebbe stupido negare, considero finalmente “chiuso”, e vedremo in che senso, un altro capitolo della politica nazionale, e internazionale.
Nel “Politico”, possiamo ben dire che Platone fondi il linguaggio della politica, in forma dialettica, separandolo e distinguendolo nettamente dal linguaggio “divino” della “verità”, secondo il quale l’uomo non può comprendere nulla di ciò che gli accade in sorte.
Si tratta dunque di due “mondi” diversi, che in qualche modo s’intersecano tra loro, ma non dovrebbero essere in alcun modo confusi o, peggio ancora, assimilati l’uno – il divino – all’altro, il politico.
Tanto premesso, negli ultimi trent’anni, nell’Occidente e in Europa, il linguaggio della politica ha rappresentato l’epopea di un nuovo “paradiso terrestre”, quello della costituente Unione Europea, essenzialmente a guida franco-tedesca.
Erede del progetto politico platonico, G. W. F. Hegel, padre della dialettica moderna, sosteneva, contro il pensiero illuminista di I. Kant, che il filosofo di Konigsberg avesse rappresentato un modo di pensare e di essere confacente a “una notte in cui tutte le vacche sono nere”. E cioè un mondo senza distinzioni – pensate alle polemiche anche ultime – “di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Questo, naturalmente, nel mondo delle idee e cioè soltanto in teoria; perché, nei fatti, quelle stesse vacche nere hanno continuato, nel corso dell’ultimo trentennio, a brucare – in linea con la metafora hegeliana – l’erba del suolo italico.
Ora, sempre metaforicamente, il velo è caduto. Di fronte alle richieste d’intervento della sinistra italiana “europeista” e le relative ingerenze franco-tedesche sullo stesso suolo italico, l’orgoglio italiano, almeno a parole, è prevalso. Da Meloni a Mattarella, a cui hanno fatto seguito le scuse, formali, di Macron. Avanti, così!