di Anna Adamo
Giulia ha quarant’anni e due bambine, un marito ed una vita felice, non le manca nulla, ma una mattina di agosto di qualche anno fa è accaduto qualcosa che l’ha segnata per sempre.
Il test di gravidanza che aveva eseguito qualche minuto prima è positivo.
Panico, paura di non farcela, di avere una casa troppo piccola per aggiungervi cose necessarie alla crescita di un’altra bambina, di non sapere come l’avrebbero presa le sorelline, prendono inizialmente il sopravvento, poi, però, è la felicità a vincere su tutto.
Ebbene si, dopo l’attimo di smarrimento iniziale, Giulia e il marito capiscono che non sarebbe potuta capitare loro cosa più bella di questa.
Ma, proprio quando tutto sembrava andare per il verso giusto, la gravidanza si interrompe, ed è in quel momento che l’inferno di cui è stata protagonista Giulia ha inizio.
Quell’ inferno di cui oggi è pronta a parlare, per far sì che mai più nessuna donna si ritrovi protagonista di quello stesso orrore.
“All’ ospedale Gemelli di Roma – racconta – nonostante avessi appena abortito, mi misero in stanza con altre donne che stavano partorendo. Sentivo le ostetriche dire loro di spingere, sentivo i pianti dei bambini. Nel mentre, nessuno mi chiedeva come stessi, nessuno mi guardava in faccia, eppure mi sentivo vuota, spenta. Stavo facendo i conti con la morte mentre ero insieme ad altre donne che si apprestavano a stringere tra le braccia delle nuove vite. Mi sono sentita umiliata”.
Quella di Giulia è una storia che mette i brividi.
Sembra quasi impossibile che una donna sia stata costretta a subire tutto questo, non una, ma ben tre volte. Si, perché la verità è che successivamente Giulia di aborti ne ha avuti altri due e l’ inferno vissuto è stato esattamente lo stesso.
“Bisogna fare qualcosa. Serve – dice – un posto dedicato, magari con uno psicologo, una persona che sostenga le donne, che si occupi di loro nei momenti drammatici e le aiuti ad ad elaborare ciò che stanno subendo. Invece ci si ritrova faccia a faccia con il medico, il quale se l’ interruzione della gravidanza è naturale, non fa altro che dire “pazienza”, se l’ interruzione è volontaria ti guarda come fossi una criminale. Insomma, per qualunque ragione l’aborto si verifichi, la donna viene sempre e comunque considerata sbagliata.”
Il messaggio di questa madre è forte e chiaro, le donne non possono e non devono essere lasciate sole nel momento in cui si ritrovano ad affrontare un aborto.
Occorre agire per tutelarle, per restituire loro la dignità che perdono nel momento in cui vengono trattate così come è stata trattata Giulia e soprattutto per far si che mai più nessun altra donna si ritrovi ad essere protagonista di un tale inferno.