di Anna Adamo
Dicono sempre che i giovani non abbiano voglia di lavorare e a trent’anni vivano ancora con i genitori, perché provano piacere nel far la vita comoda.
E probabilmente si, è vero, per molti è così. Ma, come in tutti i casi, anche in questo non è corretto fare di tutta un’erba un fascio, perché ci sono le dovute eccezioni.
Giuseppe Bonanno, trentaquattrenne palermitano, ad esempio, ne è una.
“Specializzatosi in ingegneria dei sistemi edilizi a Palermo, avrebbe voluto trovare lavoro nella sua città, ma – racconta non senza amarezza – l’unica cosa che trovavo erano degli studi tecnici di architetti e ingegneri che quasi volevano essere pagati, perché sostenevano di farmi un piacere nel momento in cui mi consentivano di fare esperienza e gavetta. Dopo un po’ di tempo ho perso la pazienza e anche la voglia di star dietro a questa logica gratuita che reputo sbagliata e svilente, perché sono del parere che il lavoro debba essere sempre pagato e non sia giusto sfruttare i giovani che hanno voglia di apprendere e di rendersi indipendenti in modo da non vivere con le proprie famiglie, quindi ho deciso di trasferirmi a Milano, laddove ho trovato lavoro dopo due mesi dal mio arrivo”.
Non vi sono dubbi che tengano, Giuseppe è la voce dei giovani.
Quei giovani che, insieme alle proprie famiglie, hanno fatto enormi sacrifici con la speranza, un giorno, di potersi costruire un futuro migliore e ora si ritrovano a fare a pugni con una società che non conferisce spazio alle loro competenze, ai loro sogni e progetti.
Si ritrovano a fare a pugni con un paese che costringe le proprie energie migliori a recarsi altrove per trovare lavoro.
E no, il discorso della gavetta e dei sacrifici non regge e non regge neanche quello secondo il quale siano i giovani a non aver voglia di lavorare, a non avere interessi, perché la verità è un’altra e le parole di Giuseppe lasciano si evinca nel migliore dei modi possibili.
La verità è che è il nostro paese a non avere interesse verso i giovani, a non voler dar loro le opportunità di cui necessitano.
È questo il problema. Ed è sotto questo punto di vista che bisogna agire.
Non possiamo più permettere che il tutto si risolva facendo trasferire i giovani in altre città, così come ha fatto Giuseppe.
Facciamo in modo che i nostri giovani restino nei paesi in cui sono cresciuti.
Facciamo in modo che si trasferiscano per scelta e non per obbligo, dal momento che non riescono a trovare lavoro e opportunità per il futuro.