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23 Dicembre 2024

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La rivoluzione dei baci

di Valeria Torri

E’ il 14 agosto 1945 quando Alfred Eisenstaedt, fotografo americano di adozione, ma di origine tedesca, scatta la foto “Il bacio in Times Square”. Si tratta di una foto destinata a restare nel cuore della gente: lo storico bacio di un marinaio americano ad un’infermiera, la foto scattata nel cuore di New York a Times Square, rappresenta il giorno in cui, alle sette di sera, il Presidente Truman annuncia la resa del Giappone che sancisce la fine della Seconda Guerra Mondiale. 

A distanza di 77 anni, il 15 novembre 2022, un anonimo scatta la foto nota come “il bacio di Shiraz” che ritrae una giovane ragazza, in jeans e a volto scoperto, che bacia un ragazzo in mezzo al traffico a Tehran, Repubblica islamica, dove il bacio in pubblico è considerato un atto contro la morale ed è proibito. 

Si tratta di uno scatto che sta facendo il giro del mondo sui social perché rappresenta il simbolo della rivoluzione pacifica dei giovani contro il regime Iraniano. L’immagine è stata ripresa lungo le strade di Shiraz, dove i cittadini e le cittadine commemoravano l’anniversario della morte di oltre 1.500 persone durante le proteste del 2019, note come «Novembre di sangue».

Shiraz è stato uno dei centri più attivi nelle proteste per la morte di Mahsa Amini, la ventiduenne di origine curda deceduta due mesi fa dopo essere stata arrestata perché non portava il velo in modo corretto. La prima grande manifestazione nazionale si è tenuta il 17 settembre, il giorno del funerale di Mahsa, quando decine di donne si sono tolte il velo in segno di ribellione nei confronti del regime.

Oggi, continuano a scendere in piazza i ragazzi e le ragazze, gli uomini e le donne, a riempire le strade di Tehran nonostante ci siamo stati più di seimila arresti è più di trecento morti, soprattutto tra ragazzini e ragazzine. Sembrano voler dire: “potete ucciderci ma non ucciderete mai la nostra libertà”. 

E più li ammazzano e più aumentano.

Sta morando in Iran la gioventù che protesta e lo fa nel modo di vivere che conosce l’adolescenza: baciandosi in pubblico e sciogliendo i meravigliosi capelli lunghi.

Muoiono con coraggio perché sanno che il loro sacrificio irrobustisce la rivolta e indebolisce il regime.

Festeggiano così la vita, l’amore, la libertà, immolandosi per il futuro dei figli che non conosceranno.

Questi ragazzi, indottrinati fin dall’infanzia dalla teocrazia, si ribellano a tutto e dicono di voler vivere come i loro coetanei a New York, a Parigi, a Roma.

Loro credono nei valori più alti della democrazia. Credono i noi, nel nostro modo di vivere. Noi, che abbiamo il potere di dar voce alle loro proteste. Eppure noi assistiamo silenziosi e indifferenti alla morte di bambini e ragazzi che vedono in noi una speranza.

Agli occhi dei giovani che aspirano ai valori assoluti dell’occidente, paesi come il nostro, che respirano la libertà di espressione e il benessere economico, rappresentano il sogno, l’ambizione, il punto di arrivo da conquistare a costo del prezzo più alto.

Ci possono essere mille ragioni plausibili per non protestare contro il regime iraniano, mostrando apertamente solidarietà alle donne e alla libertà dell’Iran. Ma il silenzio delle istituzioni democratiche tradisce la speranza che quel sogno sia, in verità, solo un miraggio.

Se ne parla troppo poco, forse perché abbiamo questo senso di insormontabilità dei grandi problemi. Pensiamo che non serva protestare quando davanti hai un regime così potente come il regime iraniano. 

Pensiamo che noi non possiamo fare nulla per quei ragazzi e per quelle ragazze.

Però non è così. Le rivoluzioni scoppiano anche da una scintilla. Da un bacio o da un codino annodato per strada.

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