di Serena Landi
“La rivoluzione farà molto di più che liberare dall’oppressione e dall’imperialismo, creerà un nuovo tipo di essere umano”. Era il 1979 quando Khomeini, capo iraniano sciita, pronunciò tali parole. In nome dell’islam, la società iraniana si sarebbe liberata dall’ingiustizia, dalla povertà e dalla corruzione.
A distanza di pochi anni, l’orrore irrompe progressivamente portando all’affermazione di un populismo millenarista. La capacità di distruzione di quest’ultimo è talmente grande da non riuscire socialmente e politicamente a ricordare , riconciliare e punire i colpevoli.
È tramite la coscienza del male, sorgente in ognuno di noi di fronte alla violenza, che sentiamo chiaramente la voce delle vittime e la necessità di giustizia.
Spiegare senza ideologia, comprendere con maggiore passione sono un obbligo di fronte al male perché aiutano a organizzare il pensiero in azione.
Sono un indice puntato contro eventi che non dobbiamo nascondere, dinnanzi ai quali non possiamo restare indifferenti.
Parlare di donne e Islam è estremamente complesso poiché tale parola evoca un’idea di sottomissione, regressione, repressione. È difficile poichè lo hejab, il velo islamico, rappresenta ai nostri occhi la principale negazione simbolica della donna e del suo ruolo nella società
Parlare di donne e Islam è estremamente complesso poiché tale parola evoca un’idea di sottomissione, regressione, repressione. È difficile poichè lo hejab, il velo islamico, rappresenta ai nostri occhi la principale negazione simbolica della donna e del suo ruolo nella società.
Eppure, se in Iran le donne sono forse le principali vittime del sistema, esse rappresentano anche la forza sociale la cui critica a quest’ultimo è la più consapevole, la più dinamica, la più legittima. Quella delle iraniane costituisce oggi, nella società “post-islamista”, un’esperienza di mobilitazione esemplare e, insieme a quella di giovani e intellettuali, uno dei principali elementi di dinamismo che gli antropologi come Mary Douglas, Lévi -Strauss e Girard individuano in quel processo di produzione e maturazione di una società civile che è, come ovunque, condizione preliminare e necessaria a un’evoluzione in senso democratico della realtà sociopolitica. A differenza degli uomini le cui rivendicazioni sono essenzialmente di ordine politico e hanno come oggetto il funzionamento non democratico dello Stato e delle sue istituzioni, le donne devono mobilitarsi tanto nella società quanto in famiglia e su un doppio fronte , contro l’autoritarismo del potere politico e il sessismo della tradizione. Ma ciò che più colpisce è la contraddittorietà di un discorso che, pur contestando massicciamente lo status femminile all’interno della Repubblica islamica, lo fa attraverso il filtro dell’Islamismo ,il quale legittima uno status quo prettamente misogino.
È opportuno affermare che la violenza prende sempre origine dalla mancanza di differenze, dalla mimesi tra gli individui, da una emulazione eccessiva di modelli sociali completamente errati .
Dunque , qualsiasi sia la nostra reazione di fronte al male, dobbiamo in primo luogo riconoscerlo e tornare ad essere sé porosi in un senso molto moderno.