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15 Novembre 2024

Chi siamo

Maurizio Costanzo, innamorato del suo lavoro

di Valeria Torri

Maurizio Costanzo è nato a Roma, nell’agosto del 1938. Nella sua carriera di giornalista ha firmato la direzione di testate giornalistiche e condotto decine tra i più popolari programmi radiofonici (“Chiamate Roma 3131” dal 1976) e televisivi (“Bontà Loro” dal 1976 e il “Maurizio Costanzo Show”, talkshow trasmesso stabilmente dal 1982), commedie teatrali (raccolte in uno dei suoi libri, “Sipario! 50 anni di teatro. Storia e testi” in cui si rintraccia uno dei suoi primi copioni: “Cronache dell’Italietta”, oltre i più noti “Con assoluta ingratitudine”, “Un coperto in più”, “Vuoti a rendere”, “Sentiamoci per Natale”, “Arrivederci e grazie” e “Parlami di me”, fortunata incursione nel teatro musicale affidata all’estro di Christian De Sica). Autore di testi di canzoni, Maurizio Costanzo ha scritto la meravigliosa “Se telefonando”, resa celebre da Mina.

Il suo modo di porsi e di presentare i suoi programmi ha cambiato il modo di raccontare la vita attraverso la televisione e ha trasformato il modo in cui lo spettatore fruiva del servizio televisivo. 

Il suo sguardo, per la franchezza e la semplicità della sua comunicazione, densa di contenuti di valore culturale, sociale e artistico, ha bucato lo schermo entrando a far parte della famiglia italiana, che oggi, nella circostanza della sua scomparsa, avverte la netta sensazione di aver perso una persona cara.

Alla gente del popolo, al pubblico, lui rivolgeva maggiormente la sua attenzione e la sua curiosità. Alla vita vera, quella delle persone comuni, lui dedicava il suo talkshow, format che per primo, in Italia, ha portato in tv e che ha condotto con successo per tutta la vita. 

Costanzo ha raggiunto la popolarità con il programma Bontà Loro. La prima puntata andò in onda alle 22:40 di lunedì 18 ottobre 1976. I suoi primi tre ospiti furono il regista Anton Giulio Majano, un idraulico e Annie Papa, che poche settimane prima aveva fatto scandalo al concorso di Miss Italia mostrandosi a seno nudo.

La scenografia era essenziale: una finestra, un orologio a cucù, tre poltrone color aragosta e il suo inseparabile sgabello, che spostava di poltrona in poltrona per avvicinarsi al personaggio di volta in volta intervistato. Era il suo modo di avvicinarsi all’ospite e farlo sentire in compagnia di un amico; era la sua tecnica per agevolare l’intervista, sedendosi alle spalle dell’invitato per evitare l’effetto interrogatorio che la domanda frontale, occhi negli occhi, poteva produrre. Ai giovani giornalisti spiegava che la domanda perfetta non esiste; esiste l’ascolto dell’altro in base al quale deve sorgere la domanda.

Il suo nome è legato indissolubilmente al Maurizio Costanzo Show condotto, dal Teatro Parioli di Roma, ininterrottamente dal 1982 al 2009, per riprendere nel 2014. Dal palco del suo teatro ha dato la possibilità di emergere alle persone in cui credeva di scorgere la scintilla del talento. Solo per citarne alcuni, personaggi come Enzo Iacchetti, Giobbe Covatta, Daniele Luttazzi, Valerio Mastandrea, Platinette, Enrico Brignano, Vittorio Sgarbi, Daniele Silvestri affollano, oggi, la tv e i social con dichiarazioni e post sul senso avvertito come della perdita di un padre. A loro dava spazio perché crescessero. Nella misura del raggiungimento del loro successo lui trovava la sua soddisfazione e il suo obiettivo pregnante. 

Anche personaggi dello spettacolo dal temperamento particolarmente irruento e anticonvenzionale, additati dall’opinione pubblica come antipatici, cinici, talvolta anche protagonisti di vicende processuali, oggi piangono la sua scomparsa e affermano che senza di lui non avrebbero né arte né parte. 

Questo dice molto del profilo di un giornalista che ha lasciato la libertà all’intervistato di raccontarsi al pubblico in una condizione di assenza di giudizio. 

Maurizio Costanzo ha fatto del suo salotto televisivo un manifesto di libertà e onestà intellettuale, nel rispetto dell’opinione pubblica che lasciava si formasse da sola, senza artare la realtà con filtri o, peggio ancora, con censure, contribuendo a rendere la cultura popolare del nostro paese più libera. 

Unica la sua capacità di far convivere sullo stesso palco ospiti del mondo dello spettacolo, della politica, e della vita privata dando a tutti la stessa importanza e offrendo a chi lo desiderasse, o ne avesse le capacità, la stessa chance di successo o di ascolto. 

Sosteneva l’integrazione e la convivenza pacifica tra generi diversi e promuoveva la diversità, fino a che non sentiva che era stata accettata a livello popolare. 

Scherniva apertamente gli atteggiamenti snob. Stimolava costantemente la crescita intellettuale della nazione, offrendo al grande pubblico la possibilità di accedere a contenuti anche di alto spessore culturale. Importantissima, in questo senso, la sua intervista a Carmelo Bene. 

Da ogni parte, oggi, si sente dire che Costanzo non è morto perché vive in una sorta di caleidoscopio, attraverso i conduttori, suoi eredi, che continuano a presentare la televisione in cui credeva: un talkshow nel quale parlare al pubblico del quotidiano, come fosse un telegiornale, ma dal palco di un teatro, luogo deputato alla rappresentazione artistica della realtà. 

Grandezza giornalistica, umana e impegno civile hanno connotato la vita di Maurizio Costanzo che ha intervistato personaggi che hanno fatto la storia tra la Prima e la Seconda Repubblica. Dalle minacce della mafia, deflagrate con l’attentato scansato per un caso fortuito, allo scandalo della P2, Costanzo ha sempre affrontato di petto le sfide alle quali andava incontro scientemente. Non frenava mai la sua curiosità, neanche di fronte alla paura, per amore di verità. 

Dalla sua indimenticabile intervista a Totò, disse: “Penso che si debba essere orgogliosi, in Italia, per aver avuto un attore come Antonio de Curtis, in arte Totò” lo scriveva il 20 giugno 2019 su “Tv, sorrisi e canzoni”. Scrisse un lungo articolo raccontando dell’amicizia con il principe della risata, e, nel suo ricordo, ne sottolineava la generosità, soprattutto sul set. “Mi hanno raccontato che, a ogni fine film, regalava soldi alle maestranze. Non solo: se durante la lavorazione veniva a sapere che un tecnico aveva, per esempio, problemi con un figlio malato, lui lo chiamava e cercava di aiutarlo economicamente. Sì, grande generosità insieme a grande malinconia. L’ho scritto molte volte che i grandi comici che ho avuto la fortuna di incontrare, diventando loro amico, mi hanno sempre mostrato la faccia malinconica”. 

Di sé stesso diceva: “Dicono di me che io sono un uomo severo ma la verità è che lo sono stato molto di più con me stesso. Che sono un uomo di potere ma, chi lo è ordina e comanda, e io non lo faccio. Come giornalista non mi pento di nulla. Ho solo un rammarico: quello di non aver intervistato il Papa”.  Forse al Papa, avrebbe fatto la domanda che più amava fare e che era ricorrente nelle sue interviste: “cosa c’è dietro l’angolo”. 

Ci piace pensare che il cerchio si sia chiuso e che la risposta che cercava l’abbia finalmente trovata.

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