L’Impertinente parla con Enzo Maraio, il segretario del Psi che continua a girare l’Italia in largo e lungo per riorganizzare, in autonomia, la presenza socialista.
Segretario, la prima riflessione è sul conflitto. Da oltre un anno si combatte in Ucraina. La comunità internazionale sostiene Kiev dopo l’invasione russa. Ma l’invio di armi può rappresentare la soluzione? Non crede sia necessario lavorare a mediazioni possibili? Gianni De Michelis, quando tutti parlavano di pace giusta fra palestinesi ed israeliani, ruppe gli scheami con l’idea della pace possibile.
Possibile o giusta che sia, la pace è necessaria. Tutte le persone di buon senso non penserebbero mai alla guerra come strumento di risoluzione di un conflitto. Ma intanto, quello che pensavamo non potesse mai più accadere è successo. E’ stato un anno di orrore, morte, distruzione e atrocità. L’invasione russa dell’Ucraina è una questione che riguarda tutti noi. È dovere di tutto il mondo occidentale costruire la pace sostenendo la resistenza ucraina che oggi rappresenta un fronte a difesa della libertà di ciascuno di noi. La guerra in Ucraina sta mettendo sul banco di prova l’Europa: è arrivato il momento di avviare una seria riforma delle istituzioni europee, che parta dalla revisione dei trattati e arrivi alla costituzione vera degli Stati Uniti d’Europa, così come immaginati da Turati, con una politica estera e di difesa comune. Da Unione economica a Unione di popoli, che ha come scopo primario quello di garantire la pace e la sicurezza degli Stati membri.
Intanto i socialisti ci sono. A Taranto con l’iniziativa “Mezzogiorno e Socialismo” si rilancia l’iniziativa politica. Su quali idee?
La spinta liberista di questo governo fa sentire il suo peso soprattutto al Sud. La cancellazione del reddito di cittadinanza, nessun ragionamento sul salario minimo e soprattutto l’autonomia differenziata del ministro Calderoli, sono tutte mosse che destabilizzano lo stato sociale e quello di diritto. Ecco a Taranto bisognerà costruire una difesa a questo tentativo di rottamazione, soprattutto di una parte d’Italia. Bisognerà costruire una resistenza basata sui valori che da sempre ci hanno contraddistinto: la difesa degli ultimi. E nel mentre, ricostruire la fiducia con il nostro elettorato. E’ una strada difficile e lunga, ma rimaniamo ottimisti. Da dopo le elezioni politiche, siamo tra i pochi partiti, ad aver avviato un ragionamento sulla ricostruzione della sinistra. E lo abbiamo fatto guardando ai risultati di quei governi socialisti, che in Europa stanno affrontando con grande risolutezza problemi atavici: lavoro precario, nuove povertà, disoccupazione. Penso alla Spagna di Pedro Sánchez, ma anche al Portogallo, alla Germania ai paesi scandinavi. Credo fermamente che in Italia ci sia necessità di socialismo. Che la parola socialismo non può più essere un tabù e che sia arrivato il momento di costruire un grande partito socialdemocratico. Queste sono le nostre idee e da mesi abbiamo aperto le porte a tutti. Primi fra tutti ai compagni che negli anni hanno lasciato il partito.
Con il Governo cento giorni guidati pericolosamente a fari spenti nella notte. E non solo perché su alcuni temi come l’aborto o la pandemia ci sembra di essere ritornati al Medioevo
Sono passati i primi 100 giorni del Governo Meloni. Che bilancio fa?
Cento giorni guidati pericolosamente a fari spenti nella notte. E non solo perché su alcuni temi come l’aborto o la pandemia ci sembra di essere ritornati al Medioevo, ma anche per il numero di reteomarce che questa destra ha dovuto fare ad ogni provvedimento annunciato. In campagna elettorale è stato tutto un valzer di promesse, respinte inevitabilmente al mittente. A iniziare da quello spot recitato in auto dalla Meloni sulle accise, che si è rilevato il più grosso boomerang di questo governo. Tanto che è nato un forte contenzioso che ha poi portato allo sciopero dei benzinai. Ma anche su “opzione donna”; pensioni; flat tax; concessioni balneari. Diciamo che è stato un governo degli annunci, che alla fine ha fatto misure a favore solo di evasori fiscali.
Su presidenzialismo e riforma della Giustizia ci sono margini per collaborare?
Per noi non sono tabù. Siamo fermamente convinti del fatto che l’Italia abbia bisogno di una riforma costituzionale, che si accompagni ad una revisione della legge elettorale per garantire stabilità e restituire centralità alla sovranità popolare. Siamo da sempre per un sistema proporzionale con sbarramenti ragionevoli e con le preferenze. Del resto la prospettiva di riforma costituzionale verso il presidenzialismo l’aveva già paventata Bettino Craxi 30 anni fa e la rielezione del Presidente Mattarella ha segnalato una necessità di rivedere il sistema. È pur vero che oggi siamo in un contesto molto diverso, dove, in presenza di Camere dimezzate e partiti fragili, il sistema rischia di non avere contrappesi forti e il giusto equilibrio tra le cariche. In ogni caso non si può cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza, ma serve la massima convergenza possibile, magari con una bicamerale. Per quanto riguarda la giustizia, il discorso di insediamento del ministro Nordio aveva riacceso le speranze a guardare a una giustizia, strumento di garanzia e non di repressione. Il caso Cospito e le posizioni assunte sulle restrizioni detentive previste dal 41 bis ci hanno fatto precipitare nuovamente sul terreno scivoloso di una insopportabile deriva giustizialista, che la destra al governo continua a sostenere. Oggi più che mai occorre ridare alla giustizia la sua dignità e riportarla vicino ai cittadini. Bisogna costruire una giustizia veloce, perché la lungaggine dei processi non diventi essa stessa condanna; giusta, perché rispettosa della presunzione di innocenza; e vicina, perché ogni cittadino dovrebbe avere il diritto ad un Tribunale di prossimità, invertendo le scelte e gli errori commessi negli ultimi anni nel rimodulare la geografia giudiziaria.
Il prossimo anno le europee. Sarà sfida autonoma? Si pensa alla famiglia del socialismo europeo o sono in cantiere altri percorsi per rappresentare le istanze riformiste?
Quello delle europee è un appuntamento importante non solo per noi, ma per tutta la sinistra. Bisogna arrivarci con una proposta forte, capace di ricucire il rapporto con il paese reale. Il tentativo di una sfida autonoma è da sempre la cifra che caratterizza il mio mandato. Del resto, anche in coalizione, i socialisti sono stati sempre autonomi nelle decisioni. La famiglia del socialismo europeo è da sempre la nostra guida. I suoi valori fondanti non possono essere messi in discussioni dalla fragilità di qualcuno.
L’Avanti? Siamo l’unico giornale di partito e intendiamo essere, anche dal punto di vista mediatico, il luogo aperto del confronto. E’ una sfida difficile in una Italia dove i giornali tradizionali cedono il passo al digitale
Intanto l’Avanti torna in edicola e già lei aveva messo il garofano sulla scheda. Al netto delle elezioni politiche che sono andate male ha consapevolezza di aver fatto più lei, con il gruppo dirigente intero, in questi anni che tanti altri in venticinque?
Sì, ritorna in edicola in autonomia, dopo un anno di uscita a panino con il Riformista di Sansonetti. Siamo l’unico giornale di partito e intendiamo essere, anche dal punto di vista mediatico, il luogo aperto del confronto. E’ una sfida difficile in una Italia dove i giornali tradizionali cedono il passo al digitale. Ma non è solo romanticismo ma la necessità di tessere un filo sottile tra memoria e progresso, ribadendo la nostra autonomia di pensiero e di azione