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17 Novembre 2024

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Si distrugge il sistema sanitario nazionale ed il Sud paga il prezzo più alto

di Pino De Martino

Il servizio sanitario nazionale universalistico, cioè per tutti, sta andando lentamente in soffitta. Non lo si dice chiaramente, ma la carenza crescente delle prestazioni, la carenza di personale e strutture e alcuni numeri  lo dicono chiaramente. Basta metterli insieme. La spesa sanitaria pubblica nel 2019 è stata pari al 6,4% del PIL, una delle spese più basse della UE e dei Paesi ricchi (in Germania è 9,8, in Francia 9,3, nei Paesi Bassi 8,4, in Belgio 8,1, in Austria 7,9, nel Regno Unito 7,9, negli USA 13,2). 

Con il covid la spesa sanitaria è arrivata a 7,3% del PIL, ma è stata solo una parentesi: infatti il Governo Draghi nel Documento di Programmazione Economica varato nel 2022 ha previsto che la spesa doveva scendere al 6,3% del PIL nel 2023 e al 6,2% nel 2025 (cioè meno di quanto era nel 2019). E ciò anche se l’Organizzazione Mondiale della Sanità invita gli Stati a non scendere mai sotto il 6,5% del PIL perché ciò determina un peggioramento delle condizioni di salute della popolazione. Questi continui tagli alla ai Si distrugge il sistema sanitario nazionale ed il Sud paga il prezzo più alto

Sanità hanno portato ad avere 3 posti letto ogni mille abitanti (la media OCSE è 4 e la Germania ne ha 8, l’Austria 7, la Francia 6), 6 infermieri ogni mille abitanti (la media UE è 8 e la Germania ne ha 14, i Paesi Bassi 11, l’Austria 10).

E poi. L’ultimo rapporto Oasi del Cergas Bocconi rileva che l’Italia rimane uno dei pochi Paesi in cui la spesa sanitaria diretta, cioè di tasca propria,  supera quella “intermediata” da mutue e assicurazioni. 

La spesa sanitaria privata è in costante aumento. Ecco il trend degli ultimi anni: nel 2020 è stata di 43 miliardi, nel 2019 era di 39,5 miliardi, nel 2005 era di 25 miliardi. In media nel 2019 ogni italiano (bambini compresi) ha speso di tasca propria 640 euro per curarsi. Circa un 15% di tale cifra è servito per comprare “prodotti” che il SSN non passa perché inutili o di scarsa utilità, per fare accertamenti non necessari. Ma, “consumismo sanitario”, a parte rimane il fatto che ogni italiano ha speso almeno 400 euro per cure necessarie che avrebbero dovuto essere fornite dal sistema sanitario nazionale (prestazioni diagnostiche, curative, riabilitative o preventive, tra le quali si segnalano soprattutto le cure odontoiatriche, la fisioterapia, le visite specialistiche). E’ come se ogni italiano avesse pagato un’ulteriore tassa di 400 euro (per una famiglia di 4 persone una tassa di 1.600 euro). Una tassa che ogni anno aumenta sempre più. Chi questo ulteriore salasso non ha potuto affrontarlo ha rinunciato a prestazioni sanitarie utili per ragioni economiche: il 7,9% degli italiani (circa 4 milioni) ha rinunciato ad almeno una prestazione prescritta (in maggioranza cure odontoiatriche). 

Ovviamente a rinunciare sono soprattutto i poveri e meno abbienti e i cittadini del Sud Italia (più poveri e con un servizio sanitario meno finanziato dallo Stato rispetto a quello del Nord).

Ma Perché è così consistente la spesa dei cittadini per la salute e perché va aumentando? I motivi principali sono: 1) le lunghe attese per avere una prestazione. Per una avere una visita oculistica in Italia si aspettano in media 88 giorni, per una ortopedica 56 giorni, per fare una colonscopia 96 giorni, per una gastroscopia 88 giorni, per un ecodoppler 74 giorni, per un ecocuore 70 giorni. Ma anche queste sono medie che nascondono la realtà: i tempi di attesa sono molto più lunghi al Sud che al Nord e, quindi, sono soprattutto i cittadini del Sud Italia che sono spinti a ricorrere alla sanità privata o a rinunciare a curarsi; 2) il ticket: se per avere una prestazione sanitaria dal SSN si deve spendere poco meno di quanto si spende per andare da un privato, si favorisce la scelta di quest’ultimo.

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