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15 Novembre 2024

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Barbie con sindrome Down: passo verso l’inclusione o discriminazione che fatica a palesarsi?

di Anna Adamo


Dopo Barbie in sedia a rotelle ecco arrivare Barbie con sindrome di Down.
Bel passo verso l’inclusione, quello compiuto dalla Mattel. Ebbene si, è questa la prima cosa a cui si pensa quando si vedono queste Barbie.
La verità, però, è che, per quanto queste ultime possano essere sinonimo di cambiamento, di apertura verso la disabilità, con l’inclusione hanno ben poco a che fare.

Si, che piaccia o no, la vera inclusione non potrà mai essere rappresentata da una bambola.
Non può essere ridotta ad una bambola


Si, che piaccia o no, la vera inclusione non potrà mai essere rappresentata da una bambola.
Non può essere ridotta ad una bambola. Anzi, quest’ultima ha tutta l’aria di essere un’arma a doppio taglio.
È un po’ come se si volesse dire alle persone con disabilità che costituiscano un mondo a parte e di conseguenza debbano avere anche giochi e cose adatte a loro, che li rappresentino nel miglior modo possibile. Una forma di discriminazione che ha paura di palesarsi, la si potrebbe definire così.
Che poi, se si vede inclusione anche dove non c’è, la colpa è solo nostra.
Perché, dovremmo comprenderlo che la vera inclusione si avrà solo quando nessuna persona con disabilità verrà più presa in giro. Quando a nessun bambino sarà vietata la gita scolastica, perché è in sedia a rotelle. Quando le persone disabili verranno prese in considerazione per quello che sono a prescindere dalla disabilità da cui sono affetti.
Quando si darà loro modo di mostrare a tutti le proprie potenzialità, il proprio talento.
Quando la si smetterà di dare loro contentini solo per toglierseli dai piedi e si inizierà a considerarli la scelta, non l’alternativa.
Solo allora potremmo davvero dire di aver fatto un passo verso l’inclusione, quella vera, grazie alla quale le persone con disabilità saranno finalmente guardate con gli occhi della normalità e non ci sarà più bisogno di bambole, convegni e giornate ad hoc per ribadire che la disabilità è una parte del mondo e non un mondo a parte.

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