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17 Novembre 2024

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Riccardo Campa, il signore del transumanesimo

a cura di Angelo Giubileo

Il cursus honorum di Riccardo Campa lo colloca ai vertici del discorso, inteso come logos, attuale. Ricordiamo soltanto che nel 2004 ha fondato l’Associazione Italiana Transumanisti ed è stato anche direttore della World Transhumanist Association (WTA). Attualmente insegna sociologia all’Università Jagellonica di Cracovia. Lo abbiamo incontrato a Napoli, dove ha presentato la seconda edizione del suo bestseller La rivincita del paganesimo (D Editore), al salone Napoli Città Libro, e gli abbiamo fatto qualche domanda.

– Di recente in una sua intervista al quotidiano la Verità ha dichiarato che occorrerebbe distinguere tra modi diversi d’intendere il fenomeno transumanista… 

Come accade in tutti i movimenti filosofici, politici o religiosi, vi sono diversi modi concepire una dottrina sia da parte degli insider che degli outsider. Solo per fare qualche esempio, su cristianesimo, socialismo, liberalismo, massoneria, buddismo, o positivismo, si è detto tutto e il contrario di tutto. È inevitabile che questo accada anche per il transumanesimo. Tra le varie rappresentazioni, alcune sono vicine alla verità mentre altre sono del tutto fantasiose. In particolare, sono emerse alcune ricostruzioni complottistiche che gli insider del movimento transumanista considerano non solo fantasiose ma persino diffamatorie. Essere criticati per ciò che davvero si pensa è accettabile, ma essere criticati per qualcosa che non ti passa nemmeno per l’anticamera del cervello dà abbastanza fastidio. Ribadisco allora quando ho già dichiarato a la Verità. Il termine ‟transumano” è stato coniato da un prete scienziato, Pierre Teilhard de Chardin, per indicare il destino finale dell’evoluzione umana. Teilhard ha evidenziato la dimensione divina dell’evoluzione e chiarito che l’uomo è ancora in fase di trasformazione. Partendo dalle riflessioni di Teilhard, il biologo Julian Huxley, primo direttore dell’Unesco, ha lanciato nel 1957 l’idea di un movimento -chiamato appunto ‟transumanesimo” – per porre la giusta attenzione sull’impatto che le tecnologie hanno sull’evoluzione delle specie. I transumanisti riflettono sui possibili scenari futuri, su come potrebbe essere l’uomo del futuro. Qualcuno vede in queste riflessioni una sorta di hybris, di orgogliosa tracotanza. In realtà è proprio il contrario. Per essere transumanisti bisogna innanzitutto ammettere che non siamo la cuspide della creazione, il non plus ultra. Questo richiede una certa dose di modestia. In ogni caso, mi duole constatare che il termine ‟transumanesimo” è da alcuni utilizzato con un significato piuttosto distante da quello elaborato dai fondatori. Viene associato al controllo sociale, ai vaccini obbligatori, a Klaus Schwab, a Davos, al globalismo neoliberista. In realtà, Schwab non si è mai definito transumanista. I transumanisti che conosco io sono tendenzialmente libertari. L’idolo di tanti transumanisti è Elon Musk, non certo Schwab. E Musk non ha lesinato critiche a Davos, accusando il forum di scavalcare la volontà dei popoli. Certo, se uno è tecnofobo, questi chiarimenti non cambieranno di molto il suo giudizio.

– Nel 2007, la sua opera Etica della scienza pura anticipava già un atteggiamento di fiducia quasi incondizionato nei riguardi della scienza e del progresso scientifico, tuttavia in parte smentito dall’esperienza vissuta e maturata durante la pandemia… 

Etica della scienza pura è un tomo di seicento pagine. Ho cominciato a scrivere quell’opera una decina d’anni prima della sua pubblicazione. Seppure la stesura sia proceduta in modo discontinuo, l’idea di quel libro è dunque nata negli anni novanta del secolo scorso e va collocata nel contesto delle “science wars” – le guerre di scienza tra postmoderni e scientisti. Dal punto di vista della filosofia della scienza, mi sono sempre collocato nell’alveo del razionalismo critico, che si pone a metà strada tra il relativismo postmoderno e il positivismo scientista. In quel frangente, mi pareva che l’ago della bilancia pendesse troppo dalla parte dei postmoderni, i quali accusavano la scienza di ogni nefandezza, sicché ho deciso di scrivere un libro in difesa della scienza e del suo ethos. Ho voluto mettere in luce il carattere intrinsecamente etico dell’impresa scientifica, anche se – da buon razionalista critico – l’ho sempre considerata un’impresa fallibile, proprio perché umana. L’uomo non è infallibile. Gli scienziati sono uomini e perciò possono sbagliare. Con la pandemia l’equilibrio si è spostato troppo a favore dell’altro polo, quello scientista o positivista. Perciò, ho scritto il saggio La pandemia, il ritorno del positivismo e la lezione dimenticata del razionalismo critico. Per farla breve, sono sempre un filosofo pro-scienza, ma penso che il servizio peggiore che possiamo fare alla scienza sia presentarla come un sistema dogmatico di verità incontrovertibili. Capisco che ci sono in giro teorie non scientifiche francamente ridicole, ma il muro contro muro è la strategia meno intelligente che si possa adottare per favorire la diffusione delle idee scientifiche.

– Io e lei abbiamo soltanto due anni di differenza e quindi apparteniamo alla medesima generazione, vissuta al tramonto del sistema di duopolio USA-URSS e cresciuta nella speranza, direi già in larga parte disattesa, di costruire un nuovo spazio europeo autonomo e condiviso…

Si è passati dal bipolarismo al monopolarismo, con gli USA assurti al ruolo di poliziotto del mondo, e ora al multipolarismo. Oltre alla Russia e agli USA, sono infatti in campo anchegrandi potenze demografiche e industriali come la Cina e l’India. La situazione è indubbiamente pericolosa, considerando le armi di distruzione di massa in circolazione. Mi rammarico per il fatto che, dalla caduta del muro alla fine del monopolarismo, gli USA non abbiano gestito saggiamente il potere che il mondo ha loro affidato. La democrazia e i diritti umani non si esportano con le bombe e la razzia di risorse, si diffondono con il buon esempio e il soft power. Se si dà il cattivo esempio, poi si perde ogni legittimità morale quando si tratta di criticare comportamenti altrettanto disdicevoli di altri attori geopolitici. Per quanto riguarda L’Europa, nelle recenti crisi, ha semplicemente dimostrato di non esistere come attore geopolitico autonomo. L’Europa è un gigante economico e un nano politico.

– Non c’è dubbio che l’evoluzionismo sia stata la teoria che negli ultimi due secoli ha improntato più di ogni altra cosa il cammino sociale e perfino religioso dell’umanità. E tuttavia “il Sole dell’avvenire”, che è metafora del traguardo finale comune ad entrambi, oggi sembra segnare decisamente il proprio passo… 

Con l’illuminismo e il positivismo si sono affermati due concetti affini e pur diversi: quello di progresso e quello di evoluzione. Il progresso convoglia l’idea di un miglioramento della vita sociale e di un accrescimento della conoscenza, di un passaggio da società meno civili a società più civili. L’evoluzione attraverso la selezione naturale indica solo un cambiamento basato sulla sopravvivenza del più adatto, che non è necessariamente il “migliore” sulla base delle nostre categorie filosofiche – ovvero etiche, politiche, epistemologiche. I due concetti erano invero spesso sovrapposti dagli epigoni del positivismo, nell’Ottocento. Oltre alla sociologia di Herbert Spencer, mi sovvengono ora gli studi della scuola positiva di antropologia criminale, prodotti da Cesare Lombroso, Raffaele Garofalo, Enrico Ferri e Alfredo Niceforo. Il movimento eugenetico lanciato da Francis Galton, il cugino di Charles Darwin, non partiva dall’idea che evoluzione e progresso andassero necessariamente a braccetto, ma riteneva che attraverso opportune politiche demografiche (in certi casi raccapriccianti, come la sterilizzazione forzata di disabili e criminali) si potesse generare progresso civile. Il Novecento, con le due guerre mondiali, ha sancito la fine di queste entusiastiche visioni. D’altro canto, il mondo continua a progredire o svilupparsi sul piano tecnologico. Mantenere viva la discussione sul progresso civile ed etico, senza presumere alcun automatismo, mi sembra perciò assolutamente necessario.

– Le sintetizzo anche una mia tesi, secondo cui esiste una linea di continuità tra lo spiritualismo gnostico e religioso e il transumanismo. Cito ad esempio il pensiero di Teilhard de Chardin. Da parmenideo quale sono, le ricordo le parole di Plutarco nell’adversus Colotem allorquando riferendosi al pensiero di Parmenide dice che non bisognerebbe combattere alcuna sensazione e che sarebbe giusto vivere sia secondo l’ordine sensibile o materiale che intellegibile o spirituale… 

Sicuramente c’è una componente tecnognostica nel transumanesimo che guarda alla trascendenza dell’essere senziente, seppure attraverso il prisma della tecnologia. Tuttavia, forte nel movimento è anche la corrente materialistica e immanentistica, ovvero una visione completamente fedele alla Terra. A metà strada si colloca, secondo me, la visione di Teilhard de Chardin che, con la sua teoria evoluzionistica della spirale ascendente, cerca di tenere insieme le due tendenze, la proiezione in alto e in avanti, la fedeltà al Cielo e la fedeltà alla Terra. Qualcuno ha accusato Teilhard persino di panteismo, cioè di propagare una visione neopagana antitetica tanto al cristianesimo quanto allo gnosticismo. Forse la sua posizione è più correttamente definibile come “panenteistica”, proprio perché cerca di conciliare il trascendente e l’immanente. Questi sono comunque temi che difficilmente possiamo sviscerare in un’intervista. Se me lo consente, consiglio la lettura di un mio libro recente: Credere nel futuro. Il lato mistico del transumanesimo. Si trova su Amazon. Con linguaggio non troppo complesso, almeno così mi pare, affronto proprio questo problema.

– Un’ultima questione: in che modo ritiene che la questione in generale dell’IA necessiti di un approccio etico ormai imprescindibile?

Questa è la domanda delle cento pistole, anche perché da qualche migliaio di anni discutiamo su cosa sia etico e cosa non lo sia e non abbiamo ancora trovato un consenso unanime. Nella storia abbiamo anzi assistito ad alcuni drastici cambiamenti di paradigma. Li traccio a grandi linee, per quanto mi consente lo spazio di un’intervista. Secondo l’etimologia, il termine “etica” deriva da una radice che rimanda al concetto di “costume sociale”. Ciò ci fa comprendere che nel mondo pagano, greco-romano, si partiva dall’assunto che in genere gli esseri umani si comportassero in modo etico, salvo eccezioni. Inoltre, siamo di fronte a una prospettiva comunitaria. L’individuo deve adattarsi alle esigenze della polis. L’idea che la maggioranza possa essere immorale e che solo pochi eletti siano meritevoli della grazia è un portato del giudeo-cristianesimo e dell’idea di peccato originale. In questo quadro, nasce anche l’idea che il denaro sia lo sterco del diavolo e che sia fondamentalmente immorale fare i propri interessi individuali. L’altruismo è etico, l’egoismo è la negazione dell’etica. Di nuovo assistiamo a un cambiamento di paradigma radicale con l’avvento della modernità, quando il pensiero liberale e l’etica utilitaristica pongono l’individuo al centro del discorso e sanciscono la moralità del comportamento “egoistico”. È lecito e anzi raccomandabile fare i propri interessi, perseguire il proprio tornaconto, massimizzare il profitto, purché si rispettino le regole e le leggi. Arriviamo allora alla valutazione delle nuove tecnologie, a partire dall’intelligenza artificiale, portandoci appresso almeno tre idee di etica. Viviamo in un mondo capitalistico, quindi la terza idea di etica è ora dominante. Sappiamo però che le nuove tecnologie, oltre ad incredibili opportunità, presentano anche pericoli per singole categorie sociali (si pensi alla disoccupazione tecnologica) o interi popoli (si pensi alle guerre), se non per l’intera umanità (si pensi al riscaldamento globale). Forse si tratta di temperare il terzo tipo di etica con elementi dei precedenti due paradigmi, o magari con idee nuove. Anche in questo caso, però, il discorso è molto complesso. Per un approfondimento, posso anche in questo caso consigliare la lettura di un mio libro, intitolato semplicemente Tecnoetica, pubblicato proprio quest’anno. Posso però aggiungere che ho testato una versione avanzata di ChatGPT 4 e sono rimasto sorpreso dalle prestazioni. È indistinguibile da un essere umano e anzi sorpassa per erudizione, competenza, intelligenza e piacevolezza della conversazione la gran parte degli esseri umani. Non è cosciente, ma per un datore di lavoro questo potrebbe anche essere un vantaggio. Credo perciò che sia arrivato il momento di rivedere l’architettura delle nostre società per fare spazio alla nuova venuta. Lasciando l’allocazione delle risorse e delle mansioni al solo risultato del gioco catallattico, rischiamo di farci del male inutilmente.

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