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25 Dicembre 2024

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La patologia strutturale del sistema scolastico italiano

di Valeria Torri

Un diplomato su due non raggiunge i livelli di preparazione base e uno su dieci non ha nemmeno le competenze minime. Eppure, il 95% di loro supera l’esame di Stato. È una generazione di giovani che l’università scopre gravemente impreparata. Tanto che molti abbandonano ad appena un anno dall’iscrizione (7,3% nell’anno accademico 2021-2022 rispetto al 6,1% di due anni prima). 

Secondo Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, dietro la facciata dei titoli di studio, in Italia vi è spesso una drammatica carenza di conoscenze e competenze. Soprattutto per gli studenti che provengono da ambienti sociali e culturali svantaggiati, con deficit di preparazione importanti, si corre il rischio non solo di faticare a trovare un lavoro soddisfacente ma anche di non partecipare con pienezza alla vita della comunità.

I dati Invalsi dell’anno scorso, sugli alunni dell’ultimo anno delle superiori, che a giugno svolgono l’esame di maturità, ci restituiscono uno scenario sconsolante sulla preparazione dei nostri ragazzi: in italiano e matematica la metà degli studenti non raggiunge il livello base. A preoccupare è anche il divario territoriale. Nelle principali regioni del sud, più del 60% degli allievi non supera il livello base in italiano; in matematica salgono al 70% e circa l’80% non raggiunge il livello B2 di inglese in listening. Ancora, i dati – stavolta sui test di ingresso all’Università – ci dicono che a settembre 2022, il 50% dei candidati alla facoltà di Medicina è stato respinto e questo avviene in un paese nel quale la carenza di medici sta assumendo una dimensione grave.

Da decenni gli insegnanti dei nostri figli vengono reclutati attraverso un sistema di graduatorie che non soddisfa i bisogni della scuola. La recente “Legge 79”, recante ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), stabilisce che per diventare insegnanti di ruolo ci sarà un percorso definito ma non disciplina altri aspetti fondamentali della professione insegnante. Non è previsto, difatti, alcun meccanismo di carriera con la previsione di un laconico sistema di incentivazione una tantum, tra l’altro, mal congegnato e passibile di ingenerare iniquità. 

Anche sulle modalità di reclutamento, la legge non fa veri passi in avanti. Il Presidente Gavosto infatti evidenzia il rischio che il tradizionale modello del concorso ordinario, per quanto riformato, non sia in grado, per così dire, di mettere le persone giuste al posto giusto. 

Sebbene le ragioni di questa deriva siano molteplici (le difficoltà economiche, le carenze della scuola italiana, la mancanza di tutoraggio come sostegno alla didattica), lo Stato lascia inapplicata una legge del 2004 che prevederebbe corsi ad hoc per permettere a tutti gli studenti di recuperare i gap formativi. 

E non solo. Servirebbe contrastare con ogni campagna sociale per la promozione della cultura tra i ragazzi la desolante convinzione che studiare latino e greco significhi perdere tempo con delle “lingue morte”. Secondo Massimo Gramellini “latino e greco sono codici a chiave, insegnano a chiedersi il perché delle cose. Chi impara a districarsi fra Tacito e Platone assimila una tecnica che potrà applicare a qualunque ramo del sapere e della vita”. 

Servirebbero il coraggio, le risorse e gli incentivi per attuare Leggi e principi che già ci sono.  

Siamo invece costretti a confidare, come sempre, nella passione e nella buona volontà degli insegnanti che i ragazzi hanno la fortuna di incontrare sul loro cammino e da cui apprendono il valore della conoscenza e la passione per essa. 

Di recente, Ciro Pellegrino, “giornalista, napoletano” si legge sul suo profilo Facebook, ha pubblicato un post per ringraziare quelle insegnanti e quegli insegnanti che, come il suo, illuminano la strada. Il suo Prof. Salvatore – il nome è la conseguenza delle cose, dice – gli scrisse sul foglio del tema di classe “Non smettere mai di scrivere. 10!” e che quelle parole, quel 10, sono stati per lui come un seme ficcato nel terreno che ha fatto fiorire la rosa, la spinta verso un futuro del quale non avere paura, la fiducia in ciò che pensa – se è frutto di ciò che sa, dice – la determinazione a non smettere di scrivere qualunque cosa accada. Che faccia il giornalista, lo scrittore, il falegname, il danzatore di pioggia nel deserto – continua – non smetterà mai di fare ciò che da giovane lo ha reso felice. 

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