di Luigi Mazzella
Gli esseri umani abitano la Terra da troppi millenni e degli anni della preistoria non possono conoscersi le trasformazioni delle loro forme di società.
Dalla storia di Ate, figlia di Zeus, che per essere punita di un imprecisato inganno, fu scaraventata fuori dall’Olimpo, qualche studioso ha dedotto che con quel mito si volesse indicare, in sintesi, il momento del passaggio da una società matriarcale a quella patriarcale. Si tratta, ovviamente, di una mera supposizione.
Sappiamo bene, invece, che un cambio radicale del tipo di società si è avut, per la parte Occidentale del Pieneta, quando gli usi e i costumi dei nostri antenati greci e romani (fondati sul razionalismo, sull’empirismo, sulla necessità di acquisire certezze attraverso la sperimentazione) cedettero il passo a una mentalità fondata quasi esclusivamente sull’accettazione acritica di assolutismi incrociati sia religiosi (monoteismo mediorientale) sia ideologici (Platone e la sua Schola fino all’idealismo tedesco di fine Ottocento) imperniati su pretese “verità” assiomatiche e indimostrabili.
L’irrazionalismo divenne un dato culturale innestato, probabilmente, su un elemento del tutto naturale, se è vero che certe fandonie religiose allignavano più in certi luoghi (Medio Oriente dalla Palestina all’India, Vecchio e Nuovo Continente) che altrove e che le ideologie tedesche di Hegel non sempre hanno trovato terreno fertile in Asia ( le sole eccezioni sono state il Giappone per il fascismo e la Corea del Nord per il comunismo. Quest’ultimo in Cina è stato recepito, utilizzato strumentamente ma poi radicalmente rifiutato).
D’altronde, l’Occidente ha coltivato troppo a lungo il “mito” della sua passionalità (o vivacità emozionale) per disfarsi facilmente dell’irrazionalismo, visto come segno inequivocabile del suo estro fantasioso.
Negli ultimi tempi, però, sembrano essere in crescita i laudatores temporis actiche rimpiangono un’ età precedente ai danni psicologici e intellettivi prodotti dall’immigrazione nei nostri confini dei “barbari” (non solo nel senso greco di “stranieri”) popoli mediorientali; ma è fin troppo chiara l’impossibilità per i volenterosi (rari), di portare l’Occidente sul piano intellettuale a un recupero della razionalità presocratica e sofistica.
Per chi ha assunto l’abitudine di rinunciare a pensare per “credere” è più naturale confliggere con i suoi simili e battersi per stabilire quali fandonie siano più indigeribili (se quelle ebraiche, cristiane o islamiche ovvero se quelle fasciste e comuniste) che non buttarle tutte nel cestino dei rifiuti.
Un’era dominata, per duemila anni, dai monoteismi mediorientali e impregnata di idee magiche, miracolistiche e sensibile alle percezioni extrasensoriali, diffida dei veggenti che nel mondo greco-romano erano considerati dotati di un’intelligenza superiore, capace di far prevedere taluni eventi come effetto logico di altri.
Fuori del mondo della “credenza” acritica, l’Occidente non concede troppi spazi ai suoi figli dediti a ragionare.
Non solo il suo sistema mass-mediatico ma anche la sua stessa “prevalente” cultura cosiddetta “ufficiale” si muove su questi binari di scarsa aderenza alla logica.
Per esempio, nessuno sembra volersi avvedere della abnormità a) della delusione prodotta nel “quisque de populo” dagli effetti catastrofici della seconda guerra mondiale chiusasi con un trattato di pace che non ha evitato di generare una serie quasi ininterrotta di conflitti bellici avviati da una delle potenze alleate vincitrici, gli Stati Uniti d’America), b) del servilismo acritico, indecoroso e crescente degli Italiani (comune a tutta la classe politica espressa dal Paese, dalla sinistra alla destra, passando per il centro) verso i diktat statunitensi mascherati da decisioni della NATO e dell’UE, c) dello sciovinismo inguaribile e supponente dei Francesi, d) del pervicace, ostinato e brutale odio degli Inglesi per i Russi, e) della pervicacia dei Tedeschi nel restare avvinti all’infantilismo permanente e “ingannatore” di visioni sia religiose sia ideologiche del tutto astratte e fantasiose.
Le scelte politiche dell’Occidente, delegate in quasi tutti i suoi Stati a spioni e generali di sottopancia, lo stanno isolando dal resto dell’umanità (e sono i due terzi) additandolo, con sempre maggiore verosimiglianza, come il centro del malaffare (soprattutto per il traffico della droga, protetto, a quanto si dice, dai servizi cosiddetti d’intelligence per autofinanziarsi e per consentirsi di sottomettere meglio al proprio volere i rappresentanti della politica), della confusionarietà mentale dei giovani in preda allo “sballo” permanente, prodotto da sostanze stupefacenti d’ogni tipo, dal sostanziale inebetimento degli anziani inconsapevoli della loro (pure abbondantemente dimostrabile) incapacità di fermare l’irrazionalismo dominante nella vita quotidiana del Vecchio e del Nuovo Continente.
La conoscenza, ormai sufficientemente diffusa della società occidentale rafforza la veridicità dell’aforisma di Albert Einstein secondo cui non si può cambiare una realtà socio-politica se non si muta radicalmente il pensiero che l’ha creata.
Il grande “fisico” non aggiunge nulla per aiutarci a capire se con un radicale mutamento di mentalità e della realtà occidentale il declino in atto possa essere fermato.
Il suo silenzio può significare per chi voglia interpretarlo o che il grande Albert non ritenesse ancora urgente il momento del mutamento o che considerasse uno sforzo ciclopico e irrealizzabile il cambiamento di mentalità allo stato delle cose.
Personalmente, se ho preso l’abitudine di citare spesso l’aforisma di Einstein perché ritengo che ruit hora, non escludo che il mutamento sia tutt’altro che agevole.
In conclusione: l’aforisma di Einstein, con il passare del tempo, diventa sempre più veritiero, ma al tempo stesso cresce anche la consapevolezza che sia sempre più difficile da realizzare.