di Luigi Mazzella
Il caso di Ustica rappresenta, a mio giudizio, il modello più compiuto e riuscito di sciogliere per così dire, “all’Italiana”(id est: in modo un po’ pasticciato), un nodo altrimenti inestricabile.
Nei grandi disastri della storia umana, caratterizzati dalla morte di molte vittime, quando le cause non sono inequivocabilmente naturali e avvolte nel mistero di comportamenti umani su cui mancano assolutamente prove certe, la ricerca dei responsabili è sempre paticolarmente ardua.
La connessione con interessi patrimoniali ingenti unita al coinvolgimento molto frequente di società di assicurazioni e riassicurazioni che, prima di accettare di dover pagare somme a titolo risarcitorio, fanno ovviamente il diavolo a quattro per evitarlo rende il percorso per giungere alla soluzione una gimcana contorta e irta di ostacoli.
Come molti ricordano a Ustica, il giorno 27 giugno del 1980 precipitò dopo uno scoppio in volo un aereo dell’Itavia e trovarono la morte ottantuno passeggeri. Capire la cause della deflagrazione in volo era determinante ai fini del risarcimento delle molte vittime e dei danni subiti dalla stessa società proprietaria del velivolo. Si dovette procedere, però, in assenza di prove, per deduzioni cosiddette “logiche”, per giungere a conclusioni, si fa per dire, “soddisfacenti”.
Difatti: se si fosse trattato di un evento causato da cedimento strutturale o dallo scoppio di un ordigno collocato all’interno dell’aereo (come sostenuto dalla Commissione tecnica di esperti, presieduta da Aurelio Misiti, che aveva ritenuto, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’areo esploso a causa di una bomba collocata nel bagno) sarebbe stata evidente la responsabilità dell’Itavia o per difetto di manutenzione (nella prima ipotesi) o per inadeguato controllo dei passeggeri e dei locali di servizio dell’apparecchio (nella seconda ipotesi) e le Società di assicurazione e di riassicurazione non avrebbero tirato fuori una lira (l’Euro non era ancora entrato in vigore) per risarcire i danni.
La società aerea, d’altra parte, era prossima al collasso (in pratica, sul punto di fallire).
Deformando un motto del diritto romano, qualcuno potrebbe avere pensato:in dubio pro victimise la soluzione giudiziaria del caso fu che, pure in mancanza di prove idonee, si poteva dedurre, da talune circostanze, che a provocare la caduta dell’aereo fosse stato un evento esterno: un missile o altro ordigno esplosivo.
L’ipotesi, pur deducibile dai fatti, di un fulmine fu esclusa per le ottime condizioni metereologiche della zona al momento del sinistro.
L’idea del missile prevalse, soprattutto, dopo gli interventi giornalistici di Andrea Purgatori, un film di Risi (“Il muro di gomma”) e le iniziative giudiziarie, di tipo “deduttivo” di Rosario Priore, e le Società assicurative e riassicurative pagarono il dovuto alle vittime.
Certo non mancarono contraccolpi devastanti: i responsabili dell’aviazione militare, accusati con l’acredine che spesso accompagna il giudizio sui comportamenti dei militari, di avere nascosto ai governanti le vere cause del disastro furono condannati prima per alto tradimento e degradati ma poi , con i revirement ben noti agli Italiani, assolti per non avere commesso il fatto e reintegrati nei loro gradi.
La classe politica uscì indenne da ogni sospetto.
Oggi, però contro quest’ultima (anche se i protagonisti del caso Ustica, sono tutti defunti da tempo e non sono, quindi, più in grado di replicare) lancia tuoni e fulmini
Giuliano Amato.
L’ ex Presidente del Consiglio dei Ministri, Presidente emerito della Corte Costituzionale, e oggi “pluri-pensionato” ottantacinquenne (probabilmente non pago della vita che conduce) ha dichiarato al colto e all’inclita di volere vuotare il sacco delle sue (presunte) verità, palesemente contrarie alle dichiarazioni da lui fatte a suo tempo, sotto giuramento, all’autorità giudiziaria.
In un’intervista rilasciata a Repubblica dal titolo “Ustica, onta per Parigi: Macron chieda scusa. C’era un piano per eliminare Gheddafi, ma il missile francese colpi il DC9” lancia accuse pesantissime contro i suoi colleghi politici; non fornendo prove nuove, anche solo asseritamente da lui acquisite, ma con “relata refero”, di data incerta e secondo dati ufficiali molto confusa, fondate su presunte confessioni “verbali” il cui peso è bene espresso dal motto latino “verba volant”.
Per dare agli Italiani la sensazione di una sua tardiva “confessione” pubblica per amore della verità storica, Amato non chiede la “desecretazione” di atti rimasti ignoti (che, peraltro, la Presidente del Consiglio ha dichiarato, in modo ufficiale, “inesistenti”) ma, nella persistente assenza di prove, afferma apoditticamente, sulla base di frasi asseritamente da lui ascoltate (ma non di certo registrate) responsabilità francesi, dando false speranze alle società assicurative e riassicurative di riaprire un caso conclusosi con il risarcimento dei danni agli eredi delle vittime.
C’è da chiedersi: perché l’ex Presidente Amato prende a bersaglio soprattutto Bettino Craxi e Francesco Cossiga, entrambi defunti e non più in grado di rilasciare smentite? Basta la sua parola di “ascoltatore subordinato e silente” ai “grandi” di quel momento storico (e forse un tantino complessato nei loro confronti) per fare ciò che i giudici non furono in grado di fare : addossare, cioè, all’aeronautica francese, con la complicità (anch’essa non provata) degli americani, la responsabilità piena dell’evento?
E ciò, perché i francesi avevano saputo che Gheddafi avrebbe volato sul Mediterraneo a bordo di un MIG e che l’aereo poteva essere abbattuto fingendo un’esrcitazione militare aereo-navale.
Gheddafi, sempre a detta di Amato, sarebbe stato avvertito, però, da Craxi e non salì a bordo dell’aereo libico che sarebbe stata, sempre a detta di Amato, la sua tomba. La circostanza è stata attribuita da molti a una sorta confusione mentale di Amato sulle date di Ustica (1980) e altra successiva (1986) e in ogni caso è solo una non provata affermazione dell’intervistato.
Del tutto inverosimile, peraltro. Bettino Craxi, consapevole da uomo politico certamente non sprovveduto, di compiere un atto che significava infedeltà alla NATO, opera di spionaggio in favore di un nemico, e tradimento degli alleati francesi e americani non avrebbe mai ritenuto di confidare, senza dargliene alcuna prova (caso tipico del “verba volant”) al suo fidato (?) sottosegretario, i termini del proprio, gravissimo misfatto internazionale. E Amato, nella sua intervista, aggiunge: pur non essendone contento (sic!).
Il Presidente emerito della Corte Costituzionale, nella sua odierna “crociata”, non risparmia accuse anche a Cossiga, che a suo dire, aveva disturbi bipolari (se non proprio schizofrenici) e forti afflizioni. – Era intemperante e bizzarro – aggiunge.
Craxi, invece, sempre a suo dire, aveva altri difetti: era un politico trasgressivo e amico di Arafat e di Gheddafi.
Prima domanda: E’ possibile che Amato, con il passare degli anni, sia divenuto così ingenuo da richiedere a Macron una confessione pubblica di responsabilità pur sapendo della persistente mancanza di prove circa la “personalissima” e “non provata” riscostruzione dei fatti? E’ credibile che abbia veramente pensato che il Presidente francese potesse chiedere scusa all’Italia per ammettere implicitamente la responsabilità del proprio Paese e favorire indirettamente anche una eventuale causa di rivalsa delle società assicuratrici e riassicuratrici?
Seconda domanda: E’ credibile che con la sua intervista Amato abbia inteso procurare disagi internazionali (Francia e NATO) a Giorgia Meloni, senza rendersi conto che le offriva, invece, solo il destro di dimostrare che il “peggio” per l’Italia non era cominciato con lei?