di Angelo Giubileo
A distanza di pochissimi giorni, l’intervista della settimana scorsa di Giuliano Amato su la Repubblica e l’intervista di ieri di Mario Draghi su l’Economist hanno intersecato la politica, italiana ed europea, sottraendola al risibile chiacchiericcio estivo.
A differenza dello sguardo di Amato – interamente rivolto al passato e critico nei confronti dell’azione di Francia e NATO, e cioè i players esteri maggiori alleati del governo nazionale in carica -, l’analisi di Draghi è rivolta al presente in vista del futuro che potrebbe succedere.
Lo sguardo di Draghi è stato esemplarmente più ampio, in quanto rivolto ai temi essenziali da affrontare per la costruzione di un futuro europeo che tuteli e salvaguardi le sovranità nazionali che insistono sul territorio continentale. Come già nel 2012 – allorquando da Presidente della BCE pronunciò la frase whatever it takes dichiarando pertanto di voler fare in suo potere tutto il necessario per salvare l’euro dalla crisi del debito sovrano europeo -, Mario Draghi ribadisce oggi che dalla crisi dell’Unione europea non è assolutamente possibile uscire tornando alle vecchie regole di bilancio. A suo giudizio, sarebbe “il risultato peggiore”.
Ma: nell’intervista Mario Draghi dice molto altro ancora. Guardando al passato della guida europea, egli sintetizza affermando: “Le strategie che nel passato hanno assicurato la prosperità e la sicurezza dell’Europa, affidandosi all’America per la sicurezza, alla Cina per l’esportazione e alla Russia per l’energia, sono diventate insufficienti, incerte o inaccettabili”. Sintesi mirabile, che ci permette di scandagliare il presente in vista dei possibili scenari futuri.
E quindi: quanto alla sicurezza, non c’è dubbio alcuno che per il presente e il futuro prossimo non esiste alternativa alla NATO, dato che in alternativa sarebbe stato e sarebbe necessario affidarsi piuttosto a un esercito europeo, di cui però non vi è traccia alcuna. Inoltre: quanto alle vie del commercio internazionale, è già fin troppo evidente come la scelta iniziale della Cina per l’esportazione sia stata pregiudicata dalla guerra nel frattempo scoppiata in Ucraina. Infine: guerra stessa che ha altresì pregiudicato anche i quantitativi di energia russa necessari allo sviluppo delle economie nazionali dell’eurozona. E pertanto, sull’esportazione e sull’energia le scelte fatte in passato dall’Unione europea, in conseguenza della guerra, sono già state oggetto di revisione da parte di tutti i paesi dell’eurozona, chi più chi meno.
E così, giungiamo al punto nodale affrontato da Mario Draghi nell’intervista: come fare per garantire un futuro a questa Europa? Il Presidente suggerisce che dovremmo fare come l’America, “dove l’amministrazione di Joe Biden sta allineando la spesa federale, i cambiamenti normativi e gli incentivi fiscali al perseguimento degli obiettivi nazionali”. Non c’è dubbio quindi che Mario Draghi guardi, anche per l’Europa del futuro, al sistema <federale> degli USA, ben sapendo però che, quanto all’Unione europea attuale, necessiterebbe comunque “un’unione fiscale e una maggiore condivisione della sovranità”.
Senza aver completato l’unione bancaria, e a quanto traspare dalle dichiarazioni dei capi di stato e di governo europei, senza alcuna intenzione di avviare l’unione fiscale e pareri assai divergenti sulle regole di bilancio da adottare -, siamo proprio sicuri che la via dell’Europa possibile sia ancora quella “federale” e non altrimenti <confederale>, come da sempre, tra i tanti leader, sostiene anche il nostro attuale premier Giorgia Meloni?!