“Puntare sulla contrattazione collettiva invece che sul salario minimo, come ritiene il CNEL, è una scelta di campo, peraltro supportata da una lettura capziosa della direttiva europea, che non fa una scala di priorità tra contrattazione e salario minimo. In molti Paesi sono due strumenti sinergici, nella nostra proposta di legge non sono certo in contrapposizione. Poi si continua a sostenere, cito testualmente, che la soglia dei 9 euro lordi sia ‘inferiore alle tariffe orarie minime desumibili da quasi tutti i contratti collettivi, se letti nella loro totalità e complessità (non fermandosi cioè solo alla paga base o minimo tabellare). Un’affermazione senza senso. La nostra proposta riferisce i 9 euro lordi proprio al minimo tabellare. Con il nostro parametro sono molti di più i contratti che non rispettano la retribuzione minima ipotizzata e interessano, come abbiamo sempre detto, 3 milioni e mezzo di lavoratori”. Così a La Stampa la responsabile Lavoro del Pd, Maria Cecilia Guerra. “Il salario minimo è un punto da cui partire perché dà più forza ai lavoratori”, sostiene Guerra, per la quale “la maggioranza vuole allungare i tempi perché non ha il coraggio di dire no in Parlamento. Cercheranno di aggirare il problema, puntando su qualche agevolazione fiscale, con le poche risorse a disposizione. Ma sono due ambiti diversi, il punto è che la svalutazione dei salari impoverisce la nostra economia, lo vediamo nella Nadef: il Pil è debole anche perché soffre la domanda interna. In altri Paesi, il salario minimo ha portato un aumento della produttività”, conclude la responsabile Lavoro del Pd.