di Luigi Mazzella
Nel 2014 Stephen Hawking metteva in guardia l’umanità circa i pericoli dell’intelligenza artificiale, considerandola addirittura una minaccia per la sopravvivenza del genere umano.
Da allora il dibattito tra scienziati dell’informatica, uomini politici, intellettuali è diventato particolarmente vivace.
E ciò, per l’indubbia complessità dei problemi che dovrebbe risolvere l’ IA (o AI, Artificial Intelligence) e che vanno dalla teoria alla pratica, dall’etica alla logica.
Detto in soldoni, sistemi hardware adeguatamente progettati e sistemi di programma software dovrebbero essere in grado, a richiesta, di dare agli interlocutori risposte sul piano informativo, necessarie per l’operare in conseguenza, in luogo di quelle che potrebbero essere fornite dall’intelligenza umana.
Non sono un esperto del settore e la data della mia venuta al mondo non mi consente di padroneggiare il mondo del digitale e dell’elettronica con sufficiente disinvoltura ma ho compiuto con serietà i miei studi classici e credo di avere ancora un ottimo rapporto con i procedimenti della logica.
Rebus sic stantibus, mi sembra che quello dell’intelligenza artificiale sia soltanto un falso problema.
Esso rappresenta solo un risvolto inevitabile del caos cognitivo e della confusione operativa che informano la vita di un Occidente (e di altra grande parte dell’Umanità) sempre più in preda di irrazionalismi religiosi e filosofico-politici, ormai vecchi di secoli.
Se a predisporre hardware e software saranno individui che hanno perso ogni contatto con la razionalità per avere creduto e per credere in presunte e pretese “verità” sfornite di ogni prova, ma assimilate e osservate perché considerate “rivelate”, con contorni sacrali, da santoni o argomentate, con discorsi paludati, da sedicenti maestri del pensiero (entrambi immaginifici e fantasiosi) non è solo verosimile ma assolutamente certo e indubbio che le risposte dell’intelligenza artificiale non potranno andare che nella direzione autodistruttiva già presa dall’intelligenza naturale (il riferimento al Tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler è d’obbligo, come quello ad Albert Einstein, da me frequentemente citato).
Il fatto che il naufragio della parte di mondo da noi abitata possa essere attribuito a macchine (hardware) e a programmi (software) potrà costituire solo un pretestuoso alibi per chi, dopo secoli di guerre ideologiche (sante o profane), di genocidi atroci, di stermini e di massacri (per motivi etnici o di pensiero) ha continuato imperterrito a ripetere le medesime giaculatorie giustificative apprese in famiglia, a scuola, nei luoghi di culto; e ciò o per torpore mentale o per ignavia caratteriale.
L’irrazionalità, trasfusa nei computer, rappresenterà, in buona sostanza, lo stesso “male oscuro” che da duemila anni ci corrode.
L’ultima espressione della confusione concettuale degli Italiani è odierna.
Oggi, pur senza risposte di intelligenze artificiali, lil “Bel Paese” sta assistendo a una delle sue ricorrenti manifestazioni di piazza: questa volta contro il patriarcato e il maschilismo, ritenuta, non di certo a torto, alla base dei femminicidi il cui numero aumenta esponenzialmente di giorno in giorno.
La domanda da farsi è questa: ci sarà qualche intelligenza, naturale o artificiale che sia, a ricordare agli Italiani che il “patriarcato” (occidentale e non solo) ha il suo cardine nella “famiglia” che ne costituisce la struttura portante (si parla, infatti, di “famiglia patriarcale”) e che occorre molto discernimento e uso della logica se si vuole demonizzare il primo e continuare a santificare la seconda?